L’incedere lento ma efficace della scienza ha trovato nei secoli strumenti concettuali frutto di astrazioni di fenomeni reali che consentono di ricondurre a chiavi di lettura sintetiche e potenti eventi fisici riguardanti oggetti anche molto diversi. Fra gli strumenti messi a punto dall’inesauribile e spesso sorprendente lavoro di definizione e ri-definizione dei canoni di osservazione, interpretazione e comprensione del mondo che ci circonda un posto speciale va sicuramente riservato alla meccanica ondulatoria.
Le forme matematiche necessarie per descrivere fenomeni ondulatori pervadono campi diversi della conoscenza fisica del mondo: e così, come dall’interazione dei raggi X con un reticolo cristallino possiamo ricostruire perfettamente la posizione spaziale degli atomi che lo costituiscono, dalla propagazione di onde di sonore nel nostro pianeta riusciamo a farci un’idea di quale possa essere la sua struttura profonda, consentendo così ai terremoti di consegnare al mondo almeno un piccolo lascito positivo.
Allo stesso modo dei geologi, da qualche anno si stanno cercando metodi di descrizione e comprensione di oggetti molto più grandi – le stelle – basandosi sulla propagazione di onde sonore al loro interno. Le onde sonore (cioè meccaniche) prese in considerazione sono quelle prodotte in superficie dalle esplosioni e dalle conseguenti cadute di masse di materiale incandescente verso la stella. Le stelle, enormi fucine scaldate al loro interno dalle reazioni di fusione nucleare degli atomi negli strati profondi che liberano ingenti quantità di energia, sono grandi sfere con una vita scandita da una serie di cambiamenti di dimensione, temperatura (cioè di colore) e densità, che i modelli teorici attuali riescono a prevedere nei loro passaggi più importanti. C’è però ancora spazio per la comprensione di nuovi meccanismi interni alle stelle, che spieghino meglio il comportamento di eventi visibili in superficie a essi connessi. Le onde sonore che attraversano le stelle consentono questo tipo di analisi. È insomma nata una nuova disciplina: l’astrosismologia.
Ma com’è possibile questa analisi, visto che nessuno può entrare nelle stelle e misurare qualsivoglia entità di onde sonore interne a esse? Le onde sonore che passano nel mezzo stellare sono solo quelle risonanti, che perciò acquisiscono intensità elevata e investono tutto il globo stellare: la loro presenza determina perciò oscillazioni corrispondenti e riconoscibili nella luminosità della stella. Ecco allora che grandi progetti come Corot o Kepler, che hanno come obiettivo quello di studiare le variazioni di luminosità di stelle dovute al passaggio di pianeti orbitanti intorno a esse, prevedono misure che in realtà sono utili anche per questi sismologi sui generis. E chi pianifica le osservazioni è disponibile a includere queste misure: le oscillazioni sonore e quelle dovute al transito dei pianeti infatti non interferiscono l’una con l’altra. “Stiamo cavalcando sulle spalle dei cacciatori di pianeti”, osserva Douglas Gough, astrosismologo di Cambridge (UK).
Quello che sorprende di questa nuova capacità di analisi, che unisce conoscenze di meccanica con la dinamica delle stelle, è la sua capacità di dare risposte a problemi molto differenti fra loro. Qualche esempio? Uno dei capostipiti della disciplina, William Chaplin, dell’Università di Birmingham (UK) ha condotto una serie di osservazioni su 500 stelle simili al Sole scoprendo qualcosa di inaspettato nella distribuzione delle loro masse. È infatti inequivocabilmente inferiore a quanto da sempre ritenuto per stelle con quelle caratteristiche. Questa scoperta costringerà a rivedere alcune basi dei modelli stellari.
Ma l’astrosismologia consente verifiche di modelli esistenti. Stelle come il Sole finiranno i loro giorni con un’implosione degli strati interni e un’espansione di quelli esterni. Il piccolo Sole diventerà una gigante rossa, con diametro fino all’orbita di Giove. Si sa che le giganti rosse vivono due fasi: la prima, nella quale bruciano idrogeno in un sottile strato intorno al loro piccolo nucleo denso, grande poche volte la Terra, e una seconda, in cui iniziano a macinare Elio nel nucleo. Conoscere in che fase si trovi la stella aiuterebbe a determinarne l’età. Appoggiandosi sull’attività del satellite Kepler, Timothy Bedding, di Sydney, ha reso chiaro che i dati del satellite consentono efficacemente questa distinzione. Jørgen Christensen-Dalsgaard, della Aarhus University e coautore dello studio, ha anche confermato il modello corrente di gigante rossa, ritrovando una velocità di rotazione del nucleo dieci volte più elevata di quella dello strato superficiale della stella.
E ancora, l’astrosismologia consente di ricavare le dimensioni della stella partendo dalle oscillazioni luminose legate alle onde sonore che l’attraversano: questa misura consente di determinare molto accuratamente le dimensioni di pianeti che transitino di fronte alla stella, diminuendone la luminosità, come misura Kepler. Sarà più facile dire se un pianeta è simile alla Terra o no.
Si capisce perché i nuovi adepti di questa disciplina siano così entusiasti. Hans Kjeldsen, della Aarhus University (Danimarca), è sicuro della strada intrapresa: «Siamo in un’età dell’oro per lo studio della struttura e dell’evoluzione stellare». E Ronald Gilliland, della Pennsylvania State University (Usa), concorda: «La natura sembra essere stata gentile con noi. Le stelle sembrano non essere ritrose nel mostrarci molte oscillazioni che ci permettono di rivelare i loro più reconditi segreti».
Questo entusiasmo non può non toccare anche chi scienziato non è. Le stelle, stupendi e misteriosi punti luminosi nel cielo, sono infatti un potente simbolo delle nostre aspirazioni più profonde. “Desiderio” deriva dal latino “sidera”: “de-sidera” indica una separazione, cioè una nostalgia per i luminosi oggetti celesti. La scienza, mossa dalle stesse domande di chi osserva il cielo e i suoi meravigliosi oggetti celesti, ha investigato in profondità i meccanismi e le dinamiche interne agli astri, cercando di svelarne i segreti, e oggi abbiamo uno strumento in più per comprendere ancora meglio cosa siano queste misteriose e gigantesche palle di fuoco.
La storia della scienza ci mostra però che quando comprendiamo, la fame non si acquieta: più conosciamo, più vorremmo conoscere. La nostalgia non diminuisce. E la domanda del pastore errante di leopardiana memoria (“A che tante facelle?”) diventa sempre più profonda e urgente.