L’origine della vita sul nostro pianeta è uno dei temi principali dell’indagine dell’uomo. Le scoperte scientifiche degli ultimi anni suggeriscono che essa abbia mosso i primi passi in ambienti simili a quelli attualmente presenti sul fondo degli oceani. Cos’è rimasto di questo impulso iniziale che attraverso una lenta migrazione ha portato all’insieme di varietà e di forme che ci circondano? Una recentissima ricerca condotta da un gruppo di ricercatori francesi e italiani, pubblicata su Nature Geoscience, ha aggiunto un piccolo tassello alle nostre conoscenze documentando, per la prima volta, le tracce dell’ esistenza di micro-ecosistemi che vivono nelle parti profonde della crosta oceanica. Gli scienziati hanno svelato la presenza di una biosfera nascosta di cui l’uomo ha ignorato l’esistenza fino a oggi: la biosfera profonda o deep biosphere.



La ricerca si è concentrata sulle rocce del mantello terrestre trascinate verso l’alto dalla tettonica delle placche (parti di crosta terrestre) e recuperate durante una campagna oceanografica italo-russa con la nave Strakhov condotta in Oceano Atlantico. Grazie alla dinamica delle placche, le rocce del mantello vengono portate da qualche centinaio di chilometri di profondità (dove generalmente si trovano) al fondale marino dove possono essere campionate aprendoci una finestra verso le parti interne della Terra altrimenti irraggiungibili.



Le rocce del mantello, le peridotiti, subiscono durante il cammino un raffreddamento importante da 1200° C a 100 km di profondità, fino ai 4° C del fondale marino. Questo raffreddamento è accompagnato da una progressiva trasformazione dei minerali della roccia che si arricchiscono in contenuto d’acqua formando in prevalenza un minerale chiamato serpentino. È la serpentinizzazione uno dei processi primari che controllano, a livello planetario, il trasferimento di elementi dall’interno della Terra alla idrosfera e all’atmosfera. Durante questo processo si libera un’importante quantità di idrogeno a causa della riduzione dell’acqua durante l’ossidazione del ferro liberato dai silicati di Fe-Mg (principalmente olivina) che costituiscono le rocce del mantello. Una serie di reazioni abiogeniche di alta temperatura definite di tipo Fischer-Tropsch (500-200° C) trasforma il carbonio presente in soluzione in molecole organiche complesse.



In questo modo ci sono tutte le condizioni per favorire l’insorgere della vita: la disponibilità di sostanze organiche complesse, la presenza di idrogeno e metalli che possono essere incorporati per la funzione di trasporto elettronico (Co, Ni) e un sistema idrotermale di temperatura adeguata. Quando queste rocce si raffreddano, al di sotto del limite stimato per l’esistenza della vita (120 °C), vengono colonizzate da comunità microbiche che per la prima volta grazie a questa ricerca sono documentate e fotografate.

Tali microorganismi sono stati studiati da tempo nelle rocce dei continenti, sia nelle sequenze sedimentarie che nelle rocce del basamento laddove sussistono le condizioni necessarie. Il loro rinvenimento nelle rocce della crosta oceanica apre nuovi grandi orizzonti di ricerca, insieme a degli interrogativi. Questi ecosistemi definiti litochemoautotrofi ricavano infatti l’energia di cui hanno bisogno da reazioni chimiche che coinvolgono l’idrogeno, immobilizzano carbonio sotto forma di materia organica e liberano importanti quantità di metano. Essi formano comunità definite Slime (Subsurface lithotrophic microbial ecosystem) la cui importanza assume sempre maggior rilievo.

Lo studio citato è stato condotto da un gruppo di geologi e geobiologi dell’Università di Modena e Reggio Emilia e dell’Istituto di geologia Marina del Cnr di Bologna, in collaborazione con l’Institute de physique du globe de Paris. Le indagini condotte attraverso tecniche di spettroscopia Raman, microscopia elettronica e Tem hanno permesso di riconoscere la presenza di materia organica associata sistematicamente a strutture di dissoluzione di particolari minerali definiti idrogranati, che si formano nelle fasi terminali del processo di serpentinizzazione.

La materia organica osservata presenta diversi livelli di degradazione, ma permette di riconoscere un insieme di molecole di derivazione organica come complessi aromatici e alifatici e gruppi funzionali normalmente correlati con la presenza di biopolimeri, proteine, carboidrati, lipidi e acidi nucleici. All’interno di questo gel di derivazione organica si osserva la cristallizzazione di una fase secondaria del serpentino la cui crescita viene modulata dalla presenza della materia organica. L’osservazione di tutte le fasi coinvolte ha permesso di descrivere il bilancio degli elementi coinvolti nel processo. Appare così che l’accumulo di materia organica è accompagnato dal sequestro di magnesio e silice, mentre calcio e ferro vengono liberati nei fluidi idrotermali. È attraverso una serie di osservazioni come questa che si arriverà a comprendere qual è l’effetto globale della attività della biosfera profonda sui flussi elementari dalla geosfera alla idrosfera e atmosfera.

Rimane da comprendere qual è l’estensione della biomassa sulla Terra. Questo studio dimostra infatti che organismi viventi colonizzano le rocce profonde in condizioni vicine al limite teorico della vita fissato a 120° C. Se questo risultasse vero, si può stimare che la biomassa profonda costituisca anche più della metà della biomassa totale terrestre. Tuttavia la biomassa profonda non interviene nel ciclo fotosintetico e non appare evidente quale sia il legame con la catena trofica superficiale. È forse l’immagine di un mondo biologico sommerso, che ha un’evoluzione indipendente dalla biosfera superficiale ma ne guida l’evoluzione sul lungo termine? Come ogni scoperta anche questa apre un insieme di interrogativi che supera gli aspetti svelati da questo piccolo passo avanti. La metodologia sviluppata permette di evidenziare l’estensione lungo le dorsali della attività biologica profonda e le sue variazioni regionali.

Ora, la recente scoperta della presenza di serpentiniti anche su Marte e la disponibilità di acqua, apre la finestra su quali siano le possibili forme di vita e interazione con l’ambiente su altri pianeti. Questi organismi, che arrivano direttamente dalle fasi prime della apparizione della vita sulla Terra, sono definiti intra-terrestri, ma nella loro lontananza dalla nostra esperienza e dalle forme della vita che noi sentiamo vicine a noi possono guidarci a comprendere quali siano le forme della vita extraterrestre a cui l’uomo dedica tanta attenzione e immaginazione.