La scarica di adrenalina che subiranno gli scienziati statunitensi Robert J. Lefkowitz e Brian K. Kobilka quando a dicembre andranno a Stoccolma a ritirare il premio Nobel per la Chimica 2012, sarà tutta speciale, anche perché la motivazione del premio è in qualche misura collegata proprio con l’adrenalina e con i recettori che aiutano le nostre cellule a riconoscerla.
«Il lavoro pluridecennale di Lefkowitz e Kobilka – dice a IlSussidiario.net Giorgio Dieci, docente di Biochimica all’Università degli Studi di Parma – è un esempio di come l’isolamento e la caratterizzazione biochimica di una sola fra le miriadi di diverse macromolecole presenti in una cellula possa, attraverso la porta stretta di un lavoro difficile, lungo, esposto a continue frustrazioni, aprire a nuovi orizzonti di una larghezza inaspettata, e condurre a conoscenze di capitale importanza per la fisiologia e la salute umana».
Il lavoro dei premiati, che si estende con continuità dalla fine degli anni ’60 del secolo scorso fino ai giorni nostri, ha contribuito in modo determinante alla scoperta della più importante famiglia di recettori proteici presenti sulle membrane di tutte le cellule: i cosiddetti “recettori accoppiati a proteine G” (o GPCR, dall’inglese “G protein-coupled receptors”), detti anche “recettori a sette eliche trans-membrana”. Queste proteine dalla struttura complessa sono stabilmente associate, e quasi immerse, nella membrana esterna che avvolge ogni cellula, costituita da un doppio strato di lipidi e da diversi tipi di proteine, definite per questo “proteine di membrana”.
«Le proteine GPCR – spiega il professor Dieci – attraversano sette volte la porzione lipidica della membrana, grazie a sette tratti di amminoacidi idrofobici presenti nella loro struttura chimica, e presentano due regioni fondamentali per la loro funzione: una regione rivolta verso l’esterno delle cellule, disponibile per l’interazione con molte diverse piccole molecole di segnalazione, e una regione rivolta verso l’interno della cellula, in grado di interagire con altre proteine intracellulari modificandone l’attività».
È così che le GPCR possono venire legate da una molecola di segnalazione esterna (per esempio un ormone come il glucagone, fondamentale per il controllo della glicemia, o come l’adrenalina, che può indurre una molteplicità di risposte a livello di cuore, muscolo, fegato, vasi sanguigni…), cambiare la loro conformazione a seguito di questo legame, e trasmettere all’interno della cellula questo loro cambiamento, permettendo il legame e l’attivazione di un’altra importante classe di proteine di segnalazione intracellulare, le proteine G (la cui scoperta valse nel 1994 il Premio Nobel per la Fisiologia o Medicina a Martin Rodbell e Alfred Gillman).
«Grazie ad anni di lavoro paziente, Lefkowitz e i suoi collaboratori riuscirono a solubilizzare dalla membrana e a purificare uno dei recettori per l’adrenalina, denominato ßAR, e ad accumularne una quantità minima, ma sufficiente per ottenere, attraverso analisi chimica, qualche informazione sulla sua sequenza amminoacidica. All’inizio degli anni ‘80 queste informazioni bastarono perché, grazie all’apporto determinante di Kobilka, si potesse risalire, attraverso tecniche di biologia molecolare da poco sviluppate, dai pochi tratti noti di sequenza amminoacidica della proteina all’isolamento della sequenza di DNA, presente nel genoma cellulare, che contiene le istruzioni complete per la sintesi della proteina stessa».
Tali istruzioni, scritte con il linguaggio chimico a quattro lettere del DNA, poterono essere tradotte nel linguaggio chimico a 20 lettere (cioè i 20 amminoacidi) delle proteine, e questo permise di svelare la cosiddetta “struttura primaria” del recettore, cioè la sua sequenza amminoacidica completa. «Fu come spalancare una porta su un nuovo mondo, perché fu subito chiaro che questa sequenza presentava forti elementi di somiglianza con un’altra proteina già nota, la rodopsina, presente in abbondanza nelle cellule fotorecettrici della retina, e fondamentale per la visione. Non solo, ma molte altre proteine, variamente coinvolte nella biosegnalazione, si rivelarono come appartenenti alla stessa famiglia, la quale –sappiamo oggi- comprende almeno un migliaio di membri nelle cellule umane».
Appartengono a questa famiglia di proteine i recettori per numerosi ormoni e neurotrasmettitori, per le molecole volatili che costituiscono gli odori (le quali vengono riconosciute con grande specificità da GPCR esposte sulle cellule della mucosa nasale), per le molecole del gusto, e molte altre. «È impressionante – commenta Dieci – come un lavoro di molti anni condotto su una singola macromolecola abbia portato a svelare un universo così vasto di segnali, recettori, processi intracellulari di biosegnalazione».
Grandi sono le implicazioni mediche e farmacologiche: il nostro interlocutore ricorda che la maggior parte dei processi fisiologici dipende da una o più GPCR, e che circa la metà (!) di tutti i farmaci (fra cui i beta-bloccanti, gli antistaminici e vari tipi di farmaci psichiatrici) agiscono attraverso questi recettori. Da poco, nel 2011, l’équipe di Kobilka all’Università di Stanford è riuscita a determinare ad alta risoluzione, attraverso la diffrazione dei raggi X da parte di cristalli, la struttura del recettore ßAR legato da una parte a una piccola molecola di segnalazione (ligando), dall’altro alla proteina G intracellulare che ne media gli effetti all’interno della cellula.
«È estremamente difficile cristallizzare proteine di membrana come ßAR; per questo l’ottenimento di cristalli e la risoluzione della struttura di questo complesso rappresenta una pietra miliare non solo nella conoscenza delle GPCR, ma più in generale nella biologia strutturale. Quando il ligando è legato a ßAR, il fascio delle sue sette eliche trans-membrana va incontro a un riarrangiamento, che fa aprire la porzione intracellulare della proteina come un bouquet di fiori: questo smaschera un sito di legame per la proteina G, che interagendo con il complesso ligando-ßAR si attiva e propaga e amplifica il segnale all’interno della cellula».



(Michele Orioli)

Leggi anche

Scienza a Seveso torna dal 10 al 16 novembre 2024/ 'Le sfide dell'energia': programma e incontriMary Winston Jackson, chi è?/ La scienziata afroamericana che portò l'uomo sulla luna