È l’uomo del giorno in tutto il mondo, visto che ha lasciato milioni di persone a bocca aperta. A guardarlo lanciarsi da quasi 40mila metri, battendo numerosi record: quello del lancio dal punto più alto, che resisteva dal 1960 quando un militare americano si era lanciato da circa 30mila metri, e quello del superamento della velocità del suono da parte di un corpo umano in caduta libera. Il jumper austriaco Felix Baumgartner ha infatti raggiunto Mach 1.24, pari all’incredibile velocità di 1341,13 chilometri orari. Secondo Enrico Flamini, responsabile scientifico dell’Agenzia Spaziale Italiana, contattato da Ilsussidiario.net, un evento significativo più dal punto di vista sportivo che da quello prettamente scientifico: “Dal punto di vista strettamente scientifico la valenza non è eccezionale. Non è stato infatti un esperimento fatto nell’ambito di un gruppo di ricerca specifico o di una università e nemmeno di un ente spaziale”. Felix Baumgartner ha però ovviamente corso dei rischi non da poco: “A quell’altezza doveva essere del tutto supportato da ossigeno esterno e da una pressurizzazione interna sufficiente perché si sta in un’atmosfera con pressione a 5 millibar, che è quasi vuoto. Gli elementi critici di un esperimento del genere sono nella parte supersonica, dove la tuta non si deve rompere o danneggiare, e l’apertura sicura del paracadute, che si deve aprire senza uno strappo troppo violento”.
Quale la valenza scientifica di un esperimento di questo tipo, che ha avuto anche un costo non da poco, alcune decine di milioni di euro? Dal punto di vista strettamente scientifico la valenza non è eccezionale. Non è stato infatti un esperimento fatto nell’ambito di un gruppo di ricerca specifico o di una università e nemmeno di un ente spaziale.
Un evento dunque maggiormente sportivo che scientifico. La valenza scientifica non è eccezionale ma comunque ci sono dei ritorni importanti sull’uso dei materiali impiegati e su alcuni aspetti della fisiologia umana esposta in una fase di massimo stress. Ma resto piuttosto cauto sul dire che questo è un evento a valenza scientifica particolare.
Forse utilità per quanto riguarda il salvataggio di astronauti in situazioni particolari? Non direi, perché c’è una differenza sostanziale. Il lancio è avvenuto da un pallone stratosferico e a una altezza rilevante comparabile con una fase finale di rientro e non con una fase di uscita dalla terra. Sono condizioni in cui l’atmosfera è al limite, in genere quando da un razzo si stacca il primo stadio. Ma in tutti questi casi non si sta in condizioni statiche, come invece è stato per il pallone usato da Baumgartner. Piuttosto potrebbe essere utile per i nuovi voli commerciali di turismo spaziale di bassa quota di cui si parla da qualche tempo.
Tipo il Virgin Galactic? Esatto. Potrebbe essere utile per quei viaggiatori. Nella necessaria fase di training per prendere parte al volo, potrebbe essere inserito anche un addestramento per rispondere ad un’emergenza anche con un lancio con il paracadute da quelle altezze.
Il pallone stratosferico utlizzato per questa impresa fino a che quota può salire? I palloni stratosferici hanno di solito una quota di operazione fra i 30 e i 40 chilometri di altezza, dunque quella raggiunta ieri. Sono palloni realizzati con una sottile pellicola di plastica e gonfiati con elio. Sono molto utilizzati in campo scientifico, noi in Italia abbiamo una grossa tradizione di palloni stratosferici: in Lazio, fino allo scorso anno, c’era pure una base di lancioì. Sono palloni estremamente utili per test tecnologici e soprattutto per esprimenti scientifici, quali lo studio dei raggi cosmici o la simulazione dell’atterraggio di sonde su altri pianeti.
Per quanto riguarda l’apertura del paracadute, come calcolarne la giusta tempistica? I tempi di apertura si calcolano quando c’è una densità sufficiente dell’aria affinché il paracadute abbia una forma regolare di apertura e sufficiente margine per poterlo manovrare. Immagino che abbia regolato il tutto su un’altezza di circa 7/8mila metri, un’altezza ideale per frenare una caduta libera ad una velocità superiore a quella del suono.
I pericoli maggiori corsi dal paracadutista austriaco?
Innanzitutto, a quell’altezza ci si trova in un’atmosfera con la pressione di soli 5 millibar, il che vuol dire che è quasi vuoto, l’ossigeno è praticamente inesistente e la temperatura bassissima. Baumgartner ha quindi dovuto dipendere in tutto da un apporto di ossigeno esterno e utilizzare una tuta che gli consentisse di avere una pressione interna adeguata e che mantenesse una temperatura costante, temperando gli eccessivi sbalzi, perché nella caduta si va da una temperatura molto bassa ad una alta una temperatura estramemente fredda (nella parte non esposta al sole) ad una estremamente calda (quella irraggiata dal sole). È evidente poi che gli elementi critici del’impresa sono nella parte supersonica, dove la tuta non deve rompersi e l’apertura del paracadute deve avvenire in modo sicuro, avvenendo senza uno strappo troppo violento.
E l’atterraggio? Sicuro anche quello? Quella è una fase “tranquilla”. Anche per i nostri esperimenti in Sicilia nel 2003, quando abbiamo effettuato dei test sulla sonda che sarebbe atterrata su Titano, grazie agli algoritmi di ricostruzione della traiettoria e la conoscenza dei venti, l’errore è stato dell’ordine del centinaio di metri.