«Si deve lasciare briglia sciolta all’immaginazione del teorico» diceva Albert Einstein; ma, come sempre per le citazioni del grande fisico, bisogna cercare di cogliere la profondità del messaggio che si cela dietro l’efficacia comunicativa di certe battute fulminanti. Un’occasione potrebbe essere il prossimo Festival della Scienza, che si inaugura a Genova domani e che, per celebrare i suoi dieci anni di vita, ha messo a tema proprio “l’immaginazione”. 



Riferimento obbligato per un approfondimento in proposito è il saggio di Gerard Holton: L’immaginazione scientifica (Einaudi, 1983), dove il grande studioso della scienza sviluppa la sua tesi circa l’importanza per il pensiero scientifico di alcuni “temi” ricorrenti anche di natura extrascientifica e che alimentano l’immaginazione del ricercatore. Da buon storico, Holton considera cinque “casi” emblematici nella storia della fisica mostrando una varietà di modi nei quali si manifesta il “libero gioco dei concetti” (per stare sempre alle citazioni einsteiniane). 



Vediamo così Isaac Newton alle prese con il fenomeno della gravitazione, del quale aveva trovato magistralmente la legge ma la cui essenza gli sfuggiva inesorabilmente. La sua affermazione “hypotheses non fingo” è diventata un simbolo della scienza meccanicistica rigidamente ancora ai “fatti”: ma questo è solo il risultato delle traduzioni e interpretazioni dei suoi allievi, per i quali è diventata “non formulo alcuna ipotesi”, e non esprime il pensiero del maestro, convinto piuttosto – sostiene Holton – che non si dovessero “inventare ipotesi false”, cioè sganciate dalla realtà.



Viene poi considerato l’opera di Niels Bohr e il dualismo onda-particella, che ancora oggi interpella i fisici alle prese con il livello microscopico della natura, dove la materia esibisce comportamenti apparentemente contraddittori rivelandosi a volte in forma di onde altre in quella di corpuscoli. Anche qui, non si tratta di immaginazione irrealistica ma di situazioni supportate da riscontri sperimentali; tanti problemi semmai sorgono dal non riconoscere una pluralità di livelli della natura e nella pretesa di applicare al livello “micro” gli stessi schemi concettuali che valgono per il “macro”. 

Col terzo esempio entriamo più direttamente in un dibattito che potrà trovare ricca documentazione nelle prossime giornate del festival genovese: è il tema della scoperta e del ruolo delle convinzioni di partenza che animano un esperimento scientifico. Il caso è quello di Robert Millikan che tra il 1909 e il 1912 scoprì, con un celebre – anche se semplice – esperimento ripetuto, la carica dell’elettrone. I resoconti storici mettono in risalto come il fisico americano (poi premio Nobel nel 1923) fosse guidato da un’idea precisa circa la natura discreta della carica elettrica e come abbia utilizzato criteri anche soggettivi (ma sarebbe meglio dire personali) nella analisi dei dati sperimentali.

Infine Holton dedica due esempi al suo scienziato preferito, cioè allo stesso Einstein, che dell’immaginazione scientifica è certo un simbolo. Per avvicinarsi al suo pensiero ed evitare semplicistiche riduzioni sul ruolo dell’immaginazione, basterà riprendere per esteso il brano da cui è tratta la citazione iniziale, brano che Holton ripropone dal saggio di Einstein Idee e opinioni: «ci si approssima al più alto obiettivo della scienza, che è quello di esaurire un massimo di contenuto sperimentale operando una deduzione logica da un minimo di ipotesi … Si deve lasciare briglia sciolta all’immaginazione del teorico, perché altrimenti non vi sarebbe modi di conseguire l’obiettivo. Comunque, non si tratta di una immaginazione senza scopo, ma della ricerca delle possibilità logicamente più semplici e delle loro conseguenze».

Il testo sintetizza una serie di riflessioni del padre della relatività dedicate a comprendere e descrivere come funziona il pensiero scientifico, cercando di andare oltre gli stereotipi. L’intento è di opporsi a un approccio empirista sostenuto da una visione freddamente positivista per la quale la pura raccolta dei fatti non può produrre conoscenza. Poche pagine più avanti scriverà: «sono in errore quei teorici i quali pensano che la teoria derivi induttivamente dall’esperienza»; la sua preoccupazione era mostrare che non si può escludere il soggetto dell’indagine e che anche quella scientifica è un’avventura fortemente “personale”. Anche se, fa notare Holton, Einstein prende le distanze da entrambe le posizioni contrapposte e cioè sia dall’atteggiamento filosofico del soggettivismo o idealismo, da lui considerata «un’illusione aristocratica circa l’illimitata potenza di penetrazione del pensiero», sia dal realismo ingenuo, che è una «illusione plebea secondo la quale le cose sarebbero così come noi le percepiamo attraverso i sensi».

In questa compresenza di soggettivo e oggettivo, Einstein da un lato esalta la funzione del “pensare”, dall’altro ammonisce che «il compito del pensiero è ben altro che non la pura e semplice soluzione di problemi e di rompicapo» e che il pensiero è lo strumento necessario per rendere possibile l’emergere della parte più consistente dell’individuo», misurandosi intorno ai «grandi enigmi eterni».

Un pensiero che spesso si sviluppa per immagini e che fa leva su una potente capacità di visualizzazione e di intuizione, efficacemente espresse nei frequenti “esperimenti mentali” (Gedankenexperimenten); che non sono affatto un rifiuto della realtà e della razionalità, bensì un utilizzo di tutte le risorse per poter decifrare qualcosa nella “grandiosa trama dell’universo”. L’obiettivo quindi resta, più che mai, la realtà.