Si chiama Teoria dei Vincoli, in inglese Theory of Constraints (TOC), ed è quasi sconosciuta in Italia, anche da coloro che potrebbero trarne grandi vantaggi nella gestione della produzione industriale e delle attività imprenditoriali in genere. Nata per essere applicata alla produzione, la teoria si è poi estesa alla gestione progetti e alla distribuzione, con effetti stupefacenti. In molti Paesi come Usa, America Latina, India, Giappone, Cina e buona parte della Europa dell’Est, ha centinaia di applicazioni in tutti i settori. In Italia sono carenti anche gli strumenti per studiarla e conoscerla; così l’ingegner Carlo Buora e lo studioso indiano Rajeev Athavale hanno pensato di tradurre in italiano tre testi dello stesso Athavale – produzione, distribuzione, progetti – e di pubblicarli come “kit fai da te per le piccole e medie imprese” nella forma ormai sempre più diffusa dell’e-book. Ne abbiamo parlato con Carlo Buora.
Avete pubblicato tre libri su una teoria (quella dei vincoli) di cui nessuno sa niente in Italia, come mai?
In effetti la TOC da noi è pressoché sconosciuta; per di più il termine vincoli richiama l’idea di un inciampo quando invece si tratta di crescita e sviluppo. Un nome più appropriato sarebbe stato Teoria della Crescita e della Stabilità per le Aziende, perché questo è propriamente il suo oggetto. Il nome nacque quando negli anni ‘80 Eli Goldratt, un israeliano trapiantato negli Usa, si accorse che il volume produttivo di una fabbrica era in fondo limitato da poche macchine e che gestendo adeguatamente queste macchine (ecco il famoso vincolo) si poteva aumentare il fatturato e il margine della fabbrica stessa con una relativa facilità. Certo, alcune macchine agivano come vincolo però l’effetto (e lo scopo) della teoria era quello di aumentare fatturato e margine.
Cosa può dire del lavoro di Rajeev Athavale?
Rajeev è un consulente che ha avuto la fortuna e le capacità per essere coinvolto in progetti cruciali della TOC in India e sulla base della sua esperienza ha potuto scrivere questi libri. Che hanno un taglio particolare, riassunto nel concetto del “fai da te”: sono libri che contengono le indicazioni e i passi per realizzare autonomamente le soluzioni TOC nella propria azienda. A dir la verità il fai da te come lo intende Rajeev non è l’autonomia assoluta, quanto piuttosto la piena responsabilizzazione del titolare dell’azienda e dei suoi manager nei confronti del percorso di miglioramento che i libri tracciano con assoluta chiarezza e dettaglio.
Si tratta di un’opera per certi versi fantastica: mentre finora i proponenti della TOC, tra cui io stesso, esaltavano le prospettive della teoria, cioè i possibili esiti, Rajeev fin dalle prime pagine si immerge nel “da fare” e con assoluta regolarità, come una guida in montagna, segna la strada e il ritmo di marcia per arrivare in vetta.
Ma così i consulenti diventano inutili, o no?
Beh, per certi versi sì. In effetti questa è stata la mia impressione alla lettura dei libri in inglese. Rajeev, per chi lo sa leggere, fa un enorme regalo di know how e di competenze. E questo è in linea con l’approccio di Goldratt, che fin dall’inizio ha sostenuto che le soluzioni TOC o venivano trovate dagli stessi manager e titolari oppure avevano poche chance di essere effettivamente realizzate in azienda. La TOC insomma non si compra al supermercato della consulenza. Il consulente mantiene un ruolo in questa impostazione originaria, un ruolo duplice: da un lato ha il compito di porre domande a volte ovvie e a volte imbarazzanti: “quale è lo scopo dell’azienda?”, “mi fai vedere come i robot di automazione che hai comprato contribuiscono veramente alla scopo dell’azienda”, ecc; dall’altro gioca il ruolo di chi avverte l’azienda che le azioni intraprese stanno negando lo scopo stesso affermato. Insomma, il ruolo di chi mette in luce che non tutta l’azienda tira dalla stessa parte. E che richiama un principio ferreo della TOC: la subordinazione. Senza questa i buoni risultati non si ottengono.
Perché proprio la subordinazione? Sembrerebbe un principio negativo ….
Considerile aziende di distribuzione. Il vincolo qui è di una semplicità disarmante: che il cliente trovi ciò che vuole nel negozio in cui è entrato. Questo lo sanno tutti. Ma nulla è più disatteso di questo: ad esempio, si chiamano mancanti i prodotti richiesti che non ci sono; ma questi mancanti, che misurano il fallimento nel massimizzare il vincolo, nessun sistema informativo li misura, dobbiamo stimarli a occhio. Da casi reali si sa che possono essere anche il 30%. A questo si aggiunga che si produce su previsione e le previsioni raramente sono giuste; quindi in media un terzo dei prodotti venderà molto e si esaurirà presto nei negozi, un terzo andrà così così e un altro terzo venderà poco e intaserà negozi e magazzini. A fine stagione si saranno perse molte vendite e si avranno notevoli quantità di invenduto da scontare, svendere ecc. I mancanti sono causati dai prodotti che si esauriscono presto e dal fatto che l’assortimento in un negozio è basso rispetto alla disponibilità di articoli di una azienda. Questo stato di cose è accettato come normale.
Ma cosa c’entra questo con la subordinazione?
Se la produzione fosse subordinata al vincolo, dovrebbe produrre poco per volta in funzione della richiesta reale senza troppo preoccuparsi dei lotti economici, delle economie di scala, dei cambi macchina, della saturazione delle risorse. La logistica non dovrebbe aspettare a emettere ordini finché ha raggiunto quantità minime e non dovrebbe preoccuparsi più di tanto di riempire camion grandi prima di spedire la merce in negozio. Il negozio non dovrebbe aspettare di andare sottoscorta prima di riordinare. I venditori non dovrebbero forzare i negozi a fare inutili previsioni di vendita e grandi ordini per ottenere sconti significativi. È un fatto che nella normale situazione aziendale produzione, logistica, vendita e dettaglio fanno ognuno le loro ottimizzazioni locali senza preoccuparsi dello scopo, non sono cioè subordinati. Certo appaiono innocenti, tutti hanno fatto il loro dovere nel loro orticello, ma al fondo questo non è vero. Quando il risultato disastroso è sotto i nostri occhi, è dato per inevitabile, come se fosse la condizione naturale del business quando non lo è affatto. Così il fatturato, i margini, le occasioni di crescita che le aziende perdono sono enormi.
Ricapitolando, i principi sono tre: trovare il vincolo, decidere come sfruttarlo nel modo più acconcio e poi subordinare tutto a questo modo di sfruttare il vincolo. C’è dell’altro?
Beh sì, c’è dell’altro e riguarda proprio il fatto che la TOC non è solo teoria ma modalità di gestione, anche quotidiana. Abbiamo già detto che bisogna trovare il modo con cui sfruttare il vincolo e il più ovvio è quello di non fargli mai mancare la roba: quindi bisogna fargli trovare un polmone (buffer, in inglese) che lo protegga da questo pericolo. Nel caso della distribuzione, il buffer è fatto di scorte e nel caso di produzione e dei progetti è fatto di tempo. C’è un modo di gestire il buffer che rende il manager sempre avvertito, prima che si verifichi il danno, che la situazione sta diventando pericolosa ed è richiesto il suo intervento. Siamo ben lontani dal reporting normale un mese per l’altro, dove al massimo si può piangere sul latte versato.
Per quanto riguarda la distribuzione è chiaro. Ma sulla produzione, sui progetti, sul resto delle funzioni aziendali cosa dice la TOC?
Come forse si è intuito, la TOC è soprattutto un modo di pensare e come tale è applicabile a tutte le situazioni aziendali (c’è una scuola che lo estende anche a situazioni fuori dalla azienda). Un modo di pensare non vuol dire somiglianza nelle soluzioni. Il vincolo in un progetto ha una natura diversa dal vincolo in produzione e la soluzione individuata non somiglia affatto a quella della distribuzione. Le soluzioni per produzione e progetti sono quindi diverse e affascinanti. Bisognerebbe dedicare loro un’altra intervista. Anche altri ambiti aziendali sono stati coltivati dalla teoria: il marketing, le vendite, i rapporti umani. Ad esempio, immagino che lei non sappia nulla della “mafia offer”, eppure…
(a cura di Michele Orioli)