«Sono diversi gli aspetti rilevanti da sottolineare nella biografia scientifica di Niels Bohr: innanzitutto la messa a punto del modello di atomo definito appunto di Rutherford-Bohr, ma anche i contributi offerti alla meccanica quantistica e alla fisica nucleare, la cosiddetta interpretazione di Copenaghen, la discussione con Einstein e il ruolo giocato prima e durante l’occupazione nazista della Danimarca». Insieme al professor Pasquale Tucci, professore ordinario di Storia della Fisica presso l’Università degli Studi di Milano, ripercorriamo la vita e la carriera di Niels Bohr, padre della fisica quantistica a cui Google dedica il proprio logo del 7 ottobre in occasione del 127esimo anniversario della nascita.
Professore, cos’è il cosiddetto atomo di Rutherford-Bohr? A differenza di quanto sosteneva J.J. Thompson, secondo cui l’atomo era composto da una sfera fluida di materia carica positivamente in cui gli elettroni erano immersi, rendendo dunque neutro l’atomo nel suo complesso, Sir Ernest Rutherford ipotizzava che la parte preponderante dell’atomo fosse costituita da particelle positive, dette Alfa, le quali andavano a costituire il nucleo intorno al quale ruotavano gli elettroni. Si tratta del cosiddetto modello planetario di Rutherford-Bohr.
Qual era il maggiore problema dal punto di vista concettuale di questo modello? Secondo la teoria allora nota, vale a dire quella elettromagnetica, l’elettrone irradiava energia lungo l’orbita circolare. Perdendo questa energia, dunque, si ipotizzava che il raggio dell’atomo diventasse sempre più piccolo, finché l’elettrone cadesse sul nucleo e quindi si annichilisse. In questo modo, quindi, l’atomo non era consistente dal punto di vista teorico.
Cosa ipotizzò invece Niels Bohr? Per rendere consistente questo modello, Bohr utilizzò l’ipotesi di Planck sulla quantizzazione, la quale prevedeva che l’elettrone irradiasse energia solamente quando passava da un’orbita a un’altra e non quando invece rimaneva fisso nella sua orbita. Grazie a questo, Bohr contribuì alla diffusione e all’accettazione del cosiddetto modello planetario di atomo, in contrapposizione a quella di J.J. Thompson. Sulla base di questo modello Bohr, con una famosa trilogia di articoli, riuscì a dedurre una serie di conseguenze di ordine osservativo e sperimentale delle quali ancora non si aveva una cognizione significativa dal punto di vista teorico. E’ l’inizio della teoria della meccanica quantistica che poi nel decennio successivo si sviluppò grazie al contributo di numerosi scienziati, tra cui Heisenberg.
Passiamo all’interpretazione di Copenaghen della meccanica quantistica. Il modello di questo teoria prevedeva che, a seconda dell’apparato di misura che viene usato, lo stesso oggetto materiale si può manifestare sia come onda che come corpuscolo. Facciamo un esempio: viene sparato un fascio di elettroni e successivamente fatto passare in un solo piccolo foro con determinate caratteristiche in relazione alla lunghezza d’onda; se al di là del foro viene posto uno schermo sensibile, su questo vedremo dei puntini, quindi corpuscoli. Se invece viene fatto pasare il fascio di elettroni non attraverso uno, ma due fori, vedremo una figura che ci farà pensare al fatto che l’elettrone si sia comportato come un onda. Si tratta però di una teoria difficilmente accettabile intuitivamente e che dipende sostanzialmente dal sistema di misura utilizzato (uno o due fori nello schermo). Bohr può essere considerato il padre nobile della meccanica quantistica e il ruolo che giocò dagli anni Venti fino ai Sessanta è fondamentale da questo punto di vista.
Su cosa avvenne invece la discussione con Einstein? Essenzialmente sulla teoria della misura. Einstein, nel famoso articolo scritto con Podolsky e Rosen, sostiene che la teoria della meccanica quantistica non è accettabile in quanto porta un principale paradosso, incentrato principalmente sul fatto che una misura eseguita su una parte di un sistema quantistico possa propagare istantaneamente un effetto sul risultato di un’altra misura, indipendentemente dalla distanza che separa le due parti (quindi anche infinita). Avere informazioni istantanee su una particella andata all’infinito presuppone il fatto che anche la velocità sia infinita, mentre sappiamo bene che secondo la teoria della relatività la velocità di ogni cosa, compresa quelle delle informazioni, ha un limite che è quello della luce. Bohr rispose con un altro articolo in cui confermò come la meccanica quantistica potesse essere efficace anche nel descrivere i paradossi aveva individuato.
Arriviamo dunque agli anni in cui il nazismo prende il potere in Germania
Esatto. Si comincia ad avere il sospetto che alcuni scienziati tedeschi che non avevano ancora lasciato il Paese potessero contribuire alla costruzione di una bomba atomica a fissione, sulla base degli studi che si stavano realizzando in Europa e altrove sulla fisica del nucleo. Con gli studi di meccanica quantistica, infatti, è stata rilevata la possibilità di una scissione da cui ricavare delle particelle e soprattutto energia da sfruttare dal punto di vista bellico.
Cosa fece Bohr in quegli anni? Fu uno dei promotori di un’iniziativa che pose una sorta di censura ai fisici nucleari per la pubblicazione di una serie di articoli che potessero rilevarsi utili allo sforzo bellico, portato avanti principalmente in Germania. Solo dopo la guerra si scoprì che in realtà i fisici tedeschi che stavano lavorando alla bomba a fissione non erano stati in grado di risolvere un problema teorico di base. Quindi, a differenza di quella che fu poi costruita negli Stati Uniti con il progetto Manhattan (e che poi fu lanciata su Hiroshima e Nagasaki), la loro bomba non sarebbe mai potuta arrivare a un effettivo completamento.
(Claudio Perlini)