Hanno iniziato qualche anno fa misurando le concentrazioni di particolato atmosferico nella zona a ridosso dell’università Bicocca di Milano, ma ora l’attività si va estendendo fino ad interessare diverse aree in altre zone della Penisola. Sono gli scienziati ambientali del gruppo di chimica dell’atmosfera della suddetta università, guidati dal professor Ezio Bolzacchini, e il loro lavoro sta diventando sempre più importante per poter conoscere il reale stato di inquinamento atmosferico delle nostre città e orientare adeguatamente le decisioni relative alla gestione dell’ambiente. In particolare, sono interessanti le attività connesse alle campagne di misura di quelli che si chiamano “profili verticali del particolato”; attività che hanno anche un risvolto spettacolare in quanto vengono eseguite utilizzando speciali palloni aerostatici appositamente equipaggiati, come quello che è stato innalzato sui Giardini Pubblici “Indro Montanelli” di Milano durante la recente “Notte dei Ricercatori”.
«L’attività è iniziata nel 2005», spiega a IlSussidiario.net uno degli scienziati del team, Luca Ferrero, «con le misure di profili verticali di particolato atmosferico allo scopo di comprendere come si disperde l’inquinamento sopra una città come Milano, quindi quali fenomeni favoriscono la dispersione del particolato e come varia lo strato di rimescolamento al variare delle stagioni». Si definisce strato di rimescolamento quella porzione di atmosfera dove, a seguito dei moti turbolenti generati vicino al suolo, i gas vengono, appunto, rimescolati rendendo omogenee le concentrazioni degli inquinanti con la quota.
«I moti turbolenti», continua Ferrero, «sono dovuti sia alle condizioni termodinamiche dell’atmosfera, quindi alla spinta idrostatica di galleggiamento innescata dal riscaldamento del suolo dovuto alla radiazione solare, sia alla cosiddetta turbolenza meccanica, indotta dalla rugosità superficiale di una certa zona che, ovviamente, è molto diversa per un’area abitativa o per un territorio campestre. L’insieme dei due fenomeni, termico e meccanico, determina la quota fino alla quale avviene il rimescolamento e quindi la dispersione degli inquinanti. Va da sé che più è elevata tale quota, più le emissioni sono disperse in un volume maggiore; più è bassa, più sono concentrate».
La misura dell’altezza di questo strato varia in funzione della stagione, del giorno e dell’ora. Per comprendere fino a che quota si sviluppo il rimescolamento, è necessario misurare la concentrazione di una specie inquinante relativamente stabile (ad esempio il particolato) a partire dal suolo e osservare fino a che quota le concentrazioni rimangono pressoché costanti. A tal fine appositi strumenti, come i contatori ottici di particelle, vengono posizionati al di sotto di palloni aerostatici, nella “gondola”, e vengono così innalzati per qualche centinaio di metri.
«È importante studiare i profili verticali, anche perché Milano, e in genere tutta la Pianura Padana, sono caratterizzate da inversioni termiche negli strati bassi, dove la temperatura cresce con la quota e inibisce fenomeni termici di rimescolamento», spiega Ferrero, «c’è poi la particolare configurazione geografica, con le catene montuose che circondano la Pianura e provocano una situazione di venti molto deboli e di nuovo una difficoltà di rimescolamento, che quindi si limita a uno strato molto basso».
Ferrero ci mostra un grafico ricavato dalle misure estive, dove lo strato raggiunge appena i 50 metri; in un altro, invernale, si arriva a 250 metri «quindi tutto quello che viene emesso resta confinato in uno spessore di atmosfera di quella misura»; la media invernale si attesta peraltro attorno ai 300 metri. «Non si può dire che per un’area metropolitana come quella milanese sia questa la causa dell’alto inquinamento; ma ne è certamente una concausa».
Un apparato come quello messo in azione dagli scienziati della Bicocca è un modo efficace per raccogliere i dati significativi: si va a misurare la dispersione punto per punto. L’importanza di dati così precisi è accentuata dal fatto che si tratta di fenomeni particolarmente complessi: «Non è solo un problema di concentrazione o diluizione: siamo in presenza di un meccanismo non lineare», chiosa Ferrero. «È ben noto, dalle cronache ambientali, il problema del minaccioso particolato secondario, che si origina dai precursori gassosi: se questi sono concentrati in volumi minori, le velocità di reazione sono maggiori e quindi la produzione di secondario aumenta». Il gruppo di Bolzacchini ha studiato anche le proprietà di queste particelle e i vari processi di sedimentazione, coagulazione, aggregazione; si cerca di capire come variano le proprietà chimiche e fisiche con al quota: le particelle in atmosfera, infatti, interagiscono con la radiazione solare e tale interazione produce esiti diversi a seconda delle differenti caratteristiche della particella.
Queste misure poi vanno ad integrarsi con le osservazione condotte dal satellite (nel loro caso il MODIS, della piattaforma Terra-Acqua della Nasa, in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Italiana) che, a differenza delle centraline, offre una visione completa e consentono di creare delle mappe di concentrazione al suolo molto dettagliate.
Come si è detto, l’attività proseguirà oltre Milano e il team si sposterà, con i suoi palloni e la sua strumentazione, verso il centro della pianura padana, in zone rurali, quindi ben diverse da quelle metropolitane. Sono già iniziate misure anche al centro Italia, nella conca ternana, che ha un’orografia simile a quella padana e quindi permette utili confronti dai quali dedurre la definizione di proprietà generali.
E gli studi proseguono anche al Polo Nord: anche lì hanno iniziato a studiare profili verticali. Lo stesso Ferrero è reduce dal Polo, dove ha partecipato alla Campagna Artico 2012 presso la Base Dirigibile Italia tra giugno e luglio. «In quel caso l’interesse è studiare come le particelle disperse, interagendo con la radiazione solare, modificano i cosiddetti budget radiativi e influenzano i processi di cambiamenti climatico, quindi favoriscono un raffreddamento o un più temuto riscaldamento», ha concluso Ferrero.
(Michele Orioli)