Verrà battuta all’asta su ebay a partire da 3 milioni di dollari la lettera scritta da Albert Einstein nel gennaio 1954, un anno prima della morte, al filosofo Eric Gutkind. Nello scritto, in tedesco, si legge, tra l’altro: «La parola Dio per me non è null’altro che l’espressione e il prodotto dell’umana debolezza. La Bibbia è una collezione di onorevoli storie, ma primitive e abbastanza infantili». Un buon pretesto per rilanciare il dibattito sui rapporti tra scienza e fede; ma, in questo caso sarebbe più giusto dire tra gli scienziati e le religioni: un dibattito che sottendo quello ben più importante, tra l’esperienza della ricerca scientifica e la dimensione religiosa.
A livello della pubblica opinione e dei media questi tre aspetti vengono confusi e fatti semplicisticamente coincidere; ma è solo il terzo, a nostro avviso, quello veramente interessante, anche perché non riguarda solo gli scienziati e le loro opinioni ma tocca, in qualche misura tutti. A tutti interessa capire se nella conoscenza scientifica c’è qualcosa di più della semplice ricognizione dei fenomeni naturali e della loro “regolamentazione” secondo precise leggi matematiche, oppure se quelle stesse leggi aiutano a rivelare una trama ordinata e sorprendente della realtà e spalancano continuamente dei “punti di fuga” verso altre dimensioni.
Ebbene, chi volesse impugnare questa lettera come documento per affermare, sulla base dell’autorità di Einstein, una inconciliabilità, o anche solo un’indifferenza dell’esperienza scientifica verso la dimensione religiosa, oltre a sbagliare bersaglio, si troverebbe esposto al rischio di essere sommerso da una gran quantità di citazioni dello stesso padre della relatività – e di tanti altri scienziati – che vanno esattamente e chiaramente nella direzione opposta.
Il punto è che forse non bisogna fermarsi alle citazioni, anche se per brevità è inevitabile farvi ricorso: bisogna sempre considerare la personalità dell’autore, la sua visione del mondo e la sua opera nel suo complesso. Si tratta di non tirare per la giacca il pensiero di Einstein per trascinarlo dalla propria parte, atea o religiosa che sia; e di non accontentarsi di sentenze frettolose e prefabbricate.
Il personaggio è universalmente noto per il suo linguaggio spregiudicato, per il gusto del paradosso e delle affermazioni a effetto; ciò lo portava spesso, quando si muoveva sul terreno non strettamente scientifico, anche ad incorrere in contraddizioni. Di questo del resto, come di altri aspetti scostanti e spigolosi del suo carattere, non si dava molte preoccupazioni e non faceva nulla per curare, si direbbe oggi, la sua immagine pubblica.
Un lato evidente del suo temperamento era indubbiamente – come ha osservato lo studioso Thomas Torrance che ha vagliato a fondo la sua storia, la sua attività e i suoi scritti – «una sfiducia verso tutte le autorità, comprese quella biblica e religiosa. Aveva un atteggiamento mentale stranamente indipendente, critico, ma non scettico». Non stupisce più di tanto quindi quel suo giudizio di “infantilismo”, che non è tanto un segno di svalutazione delle religioni quanto un giudizio pesante sul modo “infantile” da parte di molti credenti di aderire a una fede religiosa. Considerando nel loro complesso i numerosi riferimenti alla religione e al “Grande Vecchio”, come confidenzialmente Einstein si riferiva a Dio, è difficile non riconoscere che la bilancia pende decisamente dalla parte di una posizione di profonda religiosità. Non certo quella delle tradizioni ma quella che si esprime come continua meraviglia per “l’armonia e la razionale bellezza dell’universo”.
Ricorrono più volte – quindi non sono citazioni estrapolate ad hoc – espressioni simili a questa: «La mia religione consiste in una umile ammirazione dell’illimitato e superiore Spirito che rivela se stesso negli esili dettagli che noi siamo capaci di percepire con il nostro fragile e flebile pensiero. La profonda emotiva convinzione di una Ragione superiore, come si rivela in un universo incomprensibile, questo forma la mia idea di Dio» (L. Barnett, The Universe and Einstein, citato da Torrance in www,disf.org). 



Come pure è espressione della visione del mondo di Einstein, un’altra lettera, quella all’amico Solovine scritta due anni prima di quella oggi all’asta: «E veniamo al punto interessante. Lei trova strano che io consideri la comprensibilità della natura (per quanto siamo autorizzati a parlare di comprensibilità), come un miracolo o un eterno mistero… Anche se gli assiomi della teoria sono imposti dall’uomo, il successo di una tale costruzione presuppone un alto grado d’ordine del mondo oggettivo, e cioè un qualcosa che, a priori, non si è per nulla autorizzati ad attendersi. È questo il “miracolo” che vieppiù si rafforza con lo sviluppo delle nostre conoscenze. È qui che si trova il punto debole dei positivisti e degli atei di professione, felici solo perché hanno la coscienza di avere, con pieno successo, spogliato il mondo non solo degli dèi, ma anche dei miracoli». E quasi a giustificarsi per essere stato troppo “religioso”, Einstein conclude così la lettera: «Il fatto curioso è che noi dobbiamo accontentarci di riconoscere “il miracolo” senza che ci sia una via legittima per andare oltre. Dico questo perché Lei non creda che io – fiaccato dall’età – sia ormai facile preda dei preti». 
Non è difficile documentare come il riferimento alla dimensione religiosa sia un filo rosso che percorre tutta l’esperienza conoscitiva einsteiniana. E c’è di più. Sempre Torrance ricorda un commento del grande storico della fisica Max Jammer, già collega di Einstein a Princeton, secondo il quale «la conoscenza della fisica di Einstein e la comprensione della sua religione profondamente collegati; per Einstein la natura sembra infatti mostrare le tracce di Dio, come una sorta di “teologia naturale”. Egli parlerà di Dio così spesso, nelle sue opere, che Friederich Dürrenmatt poté dire una volta che vedeva Einstein quasi come un “teologo camuffato”». 
Possiamo quindi ritenere, lettera più lettera meno, che i continui riferimenti a Dio – che è “sottile ma non maligno”, che “non gioca ai dadi”, e così via – non si possano liquidare come dei modi di dire: «Per Einstein, Dio ha un significato profondo, anche se difficile da afferrare, e non costituiva un tema senza importanza, né per la sua vita, né per la sua attività di scienziato. Si trattava di qualcosa profondamente radicato nella sua vita e nel suo pensiero».

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