“A sei mesi dall’operazione mi ritengo guarita dalla sclerosi multipla, il metodo Zamboni mi ha dato una seconda vita”. A dire così è Nicoletta Mantovani, vedova di Luciano Pavarotti, in un intervista pubblicata sul settimanale “Gente”. Malata di sclerosi multipla, la signora Mantovani si è sottoposta a una operazione con il metodo ideato appunto dal professor Zamboni, metodo che non ha ancora ottenuto il riconoscimento ufficiale della comunità scientifica e delle autorità. Il sussidiario.net ha chiesto al nuovo assessore ala sanità della regione Lombardia, il professor Mario Melazzini, il suo parere su queste dichiarazioni e sul metodo Zamboni: “L’ultimo studio scientifico condotto su un numero considerevole di pazienti non ha dimostrato alcuna correlazione tra Ccsvi (situazione da cui prende vita il metodo Zamboni, ndr) e la sclerosi multipla”. Nonostante ciò sono in corso alcune sperimentazioni in diverse regioni italiane, ma a cui la Lombardia non partecipa: “Come Regione Lombardia rilasceremo al più presto un comunicato in cui daremo indicazioni precise che chi vuole sottoporsi al metodo Zamboni lo dovrà però fare all’interno di studi clinici controllati. La regione Lombardia comunque neon finanzierà questi studi: gli unici dati scientifici al momento a disposizione dicono che non c’è alcuna correlazione tra questo metodo e la malattia”. 



Professore ci spiega in cosa consiste il metodo Zamboni? Il metodo Zamboni consiste nel fatto che questo professionista ha messo in correlazione una anomalia di flusso, cioè una stenosi delle giugulari con il quadro clinico di pazienti colpiti da sclerosi multipla. Facendo quindi un intervento che permette di dilatare queste stenosi si avrebbe un miglioramento soggettivo, perché comunque si tratta di un miglioramento soggettivo del quadro clinico dei pazienti.

Secondo Zamboni è il restringimento delle vene che vanno dal cuore al cervello una delle cause della auto aggressione del sistema nervoso da parte del sistema immunitario. Sono in corso una serie di studi che cercano di evidenziare una correlazione tra  Ccsvi (l’insufficienza venosa cerebrospinale cronica, ndr) e sclerosi multipla. Sta di fatto che l’ultimo studio condotto su un numero considerevole di pazienti sia di sclerosi multipla sia di altre malattie neurologiche, il famoso studio CoSMo, non ha dimostrato alcuna correlazione tra Ccsvi e sclerosi multipla. 

Però in diverse regioni italiane si sta procedendo con una sperimentazione del metodo Zamboni. E’ stato ipotizzato un protocollo apposito che praticamente vuole mettere insieme il metodo con lo studio clinico a doppio ceppo randomizzato. In poche parole i pazienti vengono selezionati e messi in due situazioni diverse: un gruppo fa la dilatazione secondo il metodo Ccsvi,  un altro solo la procedura diagnostica. Personalmente dal punto di vista etico faccio fatica a condividere questo studio, dal punto di vista tecnico scientifico è il metodo per appurare effettivamente se il metodo Zamboni può essere davvero efficace nel trattamento della sclerosi multipla.

Perché al momento non c’è ancora alcuna prova ufficiale, giusto? I dati in letteratura dicono esattamente il contrario. Senza nulla togliere alle affermazioni della signora Mantovani io credo che bisogna lasciare le risposte alla scienza e non al singolo. 

In Lombardia è in corso questa sperimentazione? Non è ancora in corso perché lo scorso luglio avevo fatto uscire una circolare in cui dicevamo che per per finanziare queste procedure sperimentali saremmo rimasti in attesa degli esiti dello studio CoSMo.  Il quale ha dimostrato che non c’è correlazione. A questo punto come regione usciremo con un comunicato in cui diremo che si prende atto dei risultati dello studio CoSMo, ma allo stesso tempo si invitano i pazienti ad aderire a studi clinici controllati come previsto dai criteri del ministero della salute. Fra questi anche la sperimentazione Zamboni, ma sosteniamo di non utilizzare a ruota libera lo strumento della Ccsvi in tutte le strutture. Anche perché fino a oggi ci sono state diverse speculazioni sull’utilizzo di questa procedura.

Dunque cosa dirà la regione Lombardia nello specifico? 

Daremo indicazioni precise che chi vuole sottoporsi a tale studio dovrà comunque farlo all’interno di studi clinici controllati. Però la regione non parteciperò ai finanziamenti di questi studi. Come ho già detto, gli unici dati a disposizione dicono che non c’è correlazione fra Ccsvi e sla. 

A proposito della recente polemica sulla mancanza di fondi statali per i malati di sla, è soddisfatto della risposta del ministro? Io mi fido mi fido sempre. Se l’istituzione dice che c’è questo impegno per me è sufficiente. Bisognerà piuttosto  monitorar e che tutto ciò venga realizzato ma non solo a livello centrale ma anche che le singole regioni provvedano in modo preciso e puntuale a farle arrivare a chi di dovere. Ci tengo a sottolineare che non tali fondi non sono per i malati di sla,  ma sono per persone con gravissime disabilità e con problemi di autosufficienza tra cui ci sono anche i malati di sla.