In un organismo vivente, tra cellula e cellula, sono attivi moltissimi segnali, trasmessi attraverso una miriade di molecole, quali gli ormoni e i neurotrasmettitori. È il Sistema Nervoso Centrale (SNC), genericamente denominato cervello, la “centrale operativa” che invia e smista la maggior parte dei segnali diretti ad altri organi, supportando nobili funzioni quali apprendimento e memoria; ma per questo necessita di molta energia. Si tratta di capire come e dove viene generata tale energia. Presso il Laboratorio di Biochimica del Dipartimento di Biologia dell’Università di Genova una accurata indagine sperimentale ha prodotto importanti risultati in proposito, subito proiettati sulla ribalta internazionale. Ne parliamo con Alessandro Morelli che, assieme a Isabella Panfoli, ha condotto le ricerche.
Le vostre ricerche hanno affrontato la questione della produzione dell’energia che alimenta il sistema nervoso umano: come si poneva il problema?
Gli attuali canoni dalla neurobiologia non ci convincevano e siamo rimasti stupiti dal fatto che sono sufficienti pochi calcoli sull’energia elaborata dal cervello per riscontrare che molti concetti correnti sono poco plausibili. Ufficialmente solo i mitocondri elaborerebbero energia cellulare, ovvero sarebbero loro a fabbricare l’ATP per tutte le cellule, in tutti i tessuti, ma è stato dimostrato che il cervello, nonostante abbia un metabolismo respiratorio molto efficiente, ha una densità mitocondriale inferiore rispetto agli altri organi. Per questo motivo abbiamo pensato che altre strutture fossero coinvolte nel rifornimento di energia. Inoltre ci siamo resi conto che i mitocondri incontrano serissime difficoltà a produrre ATP e quindi anche questo ruolo generale che è universalmente attribuito ai mitocondri, è da noi messo seriamente in discussione. Ma questo è un altro discorso…
In che senso l’ATP è sintetizzato da una nanomacchina?
L’argomento è di estremo interesse. Esiste in tutte le cellule un aggregato di macromolecole proteiche che catalizza una reazione sfavorita energeticamente ricorrendo alla meccanica a livello di dimensioni nano. Questa nanomacchina ha le dimensioni intorno a 1/100 di micrometro ed è affascinante riscontrare che è mossa da forze intramembrana e ricorre alla forze meccaniche (che ancora oggi non sono note nei dettagli) che determinano una costrizione sulle molecole che devono reagire (ADP con P) per formare l’ATP. Tale sintesi può a ragion veduta essere considerata il processo chimico che sta alla base della vita. Infatti tutti gli altri processi biologici di norma consumano ATP, e senza ATP non esiste la vita.
Nel vostro studio vi siete indirizzati sulla guaina mielinica: perché?
Perché costituisce uno dei più grandi misteri della neurobiologia. Si pensi che costituisce almeno il 40% del nostro cervello ma le sue funzioni sono, a parere mio, tutte da scoprire. Ad essa viene oggi attribuito il ruolo di “isolante” per favorire la velocità della conduzione nervosa dei neuroni. Questa è una idea nata negli anni 30 e confermata nel 1949 ma con prove assolutamente rudimentali, utilizzando le tecniche allora disponibili. Oggi invece abbiamo a disposizione tecnologie spettacolari che ci consentirebbero di avviare uno studio di base per mettere in discussione, se necessario, questo paradigma ormai datato. Nel nostro laboratorio abbiamo dimostrato che la guaina mielinica respira e produce ATP a livelli sostenuti. Questa scoperta ci ha indotto a formulare l’ipotesi che l’ATP prodotto sia di supporto al nervo per sostenerne la conduzione nervosa che, come si sa, comporta il dispendio notevole di energia chimica, ovvero di ATP. Ci siamo indirizzati allo studio della mielina anche perché è il componente neuronale che è più collegato alle capacità cognitive. Alla nascita l’uomo non ha praticamente mielina e la mielinizzazione procede costantemente sino all’età di 20-22 anni per poi declinare molto lentamente. Non esiste nessuna altra struttura neuronale che sia così collegata inscindibilmente e quantitativamente alle capacità cognitive. Eppure la neurobiologia sino ad oggi ha sottovalutato questa interdipendenza.
Che tipo di esperimenti avete condotto e che cosa avete scoperto?
Tutto è partito dallo studio dei processi bioenergetici che consentono la percezione visiva. Ci siamo accorti che il fabbisogno energetico per sostenere i processi molecolari che trasformano la luce in impulso nervoso nei nostri coni e bastoncelli non era assicurato dai meccanismi oggi noti. Ovvero abbiamo identificato un vuoto di conoscenze. Pertanto abbiamo deciso di indagare sulle strutture esistenti nei fotorecettori (abbiamo studiato solo i bastoncelli presenti nella retina del bue) con la tecnica della proteomica, una metodologia di analisi sofisticata che consente di individuare le centinaia e centinaia di proteine presenti in un preparato biologico. Abbiamo così scoperto che nei bastoncelli erano presenti in quantità rilevanti proteine che si pensava fosserospecifiche dei mitocondri. Non è fuori luogo ricordare che con le prime analisi proteomiche i laboratori che le avevano eseguite sospettavano di aver ricevuto da noi preparazioni impure o contaminate. Ma ripetendo le preparazioni abbiamo confermato il dato inaspettato della presenza in quantità rilevante di proteine che si pensava esclusive dei mitocondri. Siamo passati alle prove funzionali/quantitative e i nostri fotorecettori mostrarono una capacità di sintesi di ATP ancor più efficiente di quella espressa dai mitocondri. La questione è rilevante perché ha aperto la strada allo studio di malattie gravi della visione, come le maculopatie, che si scatenano per difetti nell’assorbimento dell’ossigeno (e quindi sintesi dell’ATP) da parte dei fotorecettori. Avendo scoperto una struttura extramitocondriale in un distretto cellulare di cui non era chiaro il bilancio energetico, abbiamo pensato che forse esistevano anche altri tessuti con analoghe proprietà. Ci siamo quindi indirizzati al sistema nervoso e in particolare alla mielina perché già un ricercatore famoso nel 1954 ne aveva ipotizzato una possibile funzione energetica. Abbiamo effettuato una varietà di prove funzionali e tutte hanno indicato nella mielina la capacità di sintesi efficiente dell’ATP associata alla respirazione. Ora la parte più avvincente delle nostre ricerche è rivolta alla comprensione delle modalità di formazione della mielina. Ipotizziamo, anche in base a una costellazione di riscontri dalla letteratura scientifica, che la mielinizzazione avvenga sotto lo stimolo nervoso che richiede ATP. Se il nervo si fa mielinizzare, questo ATP è ceduto e quindi il nervo funziona adeguatamente. Se per qualche motivo il nervo non è mielinizzato, esso è destinato ad atrofizzarsi. Di converso se un nervo non è utilizzato potrebbe tendere a non farsi mielinizzare e quindi ad atrofizzarsi. Appare evidente che questa impostazione semplifica di molto la funzione sino ad oggi attribuita alla mielina (di isolante) che è legata ad un cambiamento radicale di modalità di trasmissione dell’impulso nervoso tra nervi non melinati (tipici del sistema nervoso simpatico che regola attività non soggette alla volontà) e nervi mielinati, che riguarda il sistema nervoso centrale che è collegato, anche, dalla volontà. Infatti in base alla nostre ipotesi le modalità di conduzione non cambiano tra i due tipi di nervo, mentre oggi i neurologi danno per assodato che l’impulso nervoso cambi radicalmente nel passaggio da nervo non mielinizzato a mielinizzato.
Questo tipo di ricerche può avere implicazioni nel campo delle malattie neurodegenerative?
Le implicazioni appaiono enormi, anche perché va ricordato che in tutte le malattie neurodegenerative la medicina appare sostanzialmente impotente. Da subito, appena ha preso corpo questa funzione inaspettata della mielina, abbiamo avviato studi sulla sclerosi multipla, una malattia demielinizzante del sistema nervoso centrale. Per affrontare una malattia occorre conoscere la funzione svolta normalmente dal componente tissutale che si altera e occorre inoltre aver identificato il fattore perturbante che scatena la malattia. Nel campo delle malattie neuronali non si conosce né l’uno né l’altro, ed è per questo che sono tutte incurabili e tanto meno guaribili. I dati di laboratorio indicano che la sclerosi multipla non sarebbe scatenata dalla risposta autoimmunitaria contro la mielina (che in effetti si verifica) ma da un cattivo funzionamento, per cause ancora da accertare, della mielina stessa che inizia a degenerare e che quindi, ovvero in una fase successiva, determina la risposta autoimmune. Dai dati in nostro possesso emerge che la mielina dei pazienti affetti da sclerosi multipla possiede una diminuita funzionalità energetica. Le cause potrebbero essere dovute a inquinamento ambientale che altera la sintesi del gruppo eme, sintesi particolarmente attiva proprio nella mielina, e il gruppo eme è coinvolto in molti processi bioenergetici. A conferma di ciò si sa che il saturnismo (avvelenamento cronico da piombo) determina sintomi simili a quelli della sclerosi multipla. Anche il morbo di Parkinson potrebbe essere dovuto da un’alterazione della funzionalità energetica della mielina. Infatti è stato dimostrato che alcuni pazienti affetti da morbo di Parkinson presentano un deficit di un complesso respiratorio che causa deficit energetico.