Il riscaldamento climatico globale è un argomento di grande attualità e fonte di accesi dibattiti, sia dentro che fuori dal mondo scientifico. Uno degli aspetti più controversi riguarda l’andamento delle temperature nel passato, per capire se nella storia del nostro pianeta sia già avvenuto qualcosa di analogo al riscaldamento globale in atto. Poiché non si dispone di misure dirette, per ricostruire le temperature nel passato geologico ci si deve affidare a dei parametri, chiamati proxy, che permettono di risalire indirettamente alla temperatura. Uno dei proxy più utilizzati è il rapporto tra gli isotopi dell’ossigeno, chiamato d18O, che può essere misurato in rocce e fossili permettendo di stimare la temperatura al tempo della loro formazione.
Negli ultimi anni, tramite le misure di d18O, si stanno ottenendo record di temperatura sempre più dettagliati di molti periodi del passato geologico. Uno di questi è stato recentemente pubblicato sulla rivista Science da Yadong Sun e altri autori, che hanno misurato il d18O in varie rocce della Cina risalenti a un periodo particolarmente critico della storia geologica, a cavallo tra il Permiano e il Triassico, intorno a 250 milioni di anni fa.
Il periodo fu caratterizzato dalla più grande estinzione mai avvenuta sul nostro pianeta, in cui sembra che più del 90% delle specie allora esistenti scomparvero nel giro di qualche decina di migliaia di anni; un tempo estremamente rapido se si considera che normalmente certi cambiamenti avvengono in vari milioni, o decine di milioni, di anni. La causa di questa grande estinzione è ancora sostanzialmente sconosciuta; vi sono svariate ipotesi ma poche prove. Lo studio di Sun aggiunge un tassello prezioso a questo complesso puzzle, sia perché presenta una ricostruzione dell’andamento di temperatura molto più accurata rispetto a quelle finora disponibili, sia perché mostra che successivamente alla grande estinzione le temperature furono incredibilmente elevate (in media tra i 35 °C e i 40 °C) per alcuni milioni di anni, soprattutto nelle zone tropicali.
Questo periodo così caldo è anche caratterizzato da una biosfera molto povera, poco diversificata e con animali miniaturizzati, e da altri eventi di estinzione. Quindi, dopo la grande estinzione di massa alla fine del Permiano, le elevate temperature ostacolarono la ripresa della vita nell’area tropicale per circa 5 milioni di anni.
Tuttavia, durante questo periodo furono più ospitali le zone alle alte latitudini che, infatti, sono caratterizzate da maggiore abbondanza e varietà di reperti fossili. Come spesso accade nel mondo scientifico, l’interessante scoperta del gruppo di Sun suscita anche delle importanti domande. Innanzi tutto, cosa causò quel riscaldamento elevatissimo? Gli autori ipotizzano che sia derivato da un incontrollato aumento di gas serra in atmosfera, a causa di un’attività vulcanica molto intensa e della moria di organismi provocata dall’estinzione di massa. Gli organismi, infatti, sottraggono carbonio all’atmosfera per utilizzarlo nei processi vitali; successivamente, quando un organismo muore, la decomposizione rilascia CO2 e CH4 che riportano il carbonio in atmosfera. Si crea così un ciclo attraverso cui il carbonio viene costantemente scambiato tra atmosfera e biosfera. Una moria di massa comporta uno squilibrio in questo ciclo, provocando un rapido rilascio di carbonio dai corpi morti che non viene più riutilizzato e si accumula in atmosfera, aumentando di conseguenza l’effetto serra.
Questa ipotesi, per quanto plausibile, necessita di verifica perché il ciclo del carbonio è complesso e altri fattori avrebbero potuto entrare in gioco. In particolare, occorre chiarire quali meccanismi abbiano consentito di mantenere elevata la concentrazione di CO2 atmosferica per circa 5 milioni di anni, perché in un arco di tempo così lungo il carbonio verrebbe sottratto dall’atmosfera e immagazzinato nelle rocce e nei suoli tramite i processi di alterazione.
Un’altra importante domanda è: quanto è probabile che un evento simile possa riaccadere? Negli ultimi 550 milioni di anni le estinzioni di massa sono state qualche decina e quella tra il Permiano e il Triassico è stata la più drammatica. Di conseguenza, che un evento con effetti così devastanti possa ripetersi è una possibilità che c’è, ma è alquanto remota.
Infine, è possibile paragonare il grande riscaldamento dell’inizio del Triassico con quello che sta avvenendo attualmente? I tempi di questi due eventi hanno ordini di grandezza molto diversi (milioni rispetto a centinaia di anni), quindi è chiaro che non si possono confrontare direttamente. Inoltre, occorre considerare che 250 milioni di anni fa la Terra era molto diversa da quella attuale: le forme di vita erano più primitive e i continenti erano tutti uniti in un’unica grande massa, chiamata Pangea. Ciò implica che gli ambienti costieri, dove l’attività biologica è più fervida, erano molto più limitati di oggi, mentre l’area equatoriale, che oggi è particolarmente umida, era molto arida a causa della diversa circolazione atmosferica e oceanica. Queste particolari condizioni, pur non essendo state la causa scatenante, hanno sicuramente contribuito ai grandi sconvolgimenti climatici 250 milioni di anni fa.
Nonostante gli eventi del passato geologico non siano direttamente confrontabili con il cambiamento climatico in corso, è fondamentale comprenderli per capire come il nostro pianeta è diventato quel mondo in grado di permetterci di vivere oggi.