La fede è una questione di conoscenza: questa la sfida più stringente di fronte all’invito del Santo Padre per l’Anno della Fede. Nella mentalità più diffusa quando si dice “fede” si pensa a qualcosa che si contrappone alla ragione, a un’esperienza legata al sentimento e a ciò che sfugge alla razionalità. Ma la fede non è “credenza” senza ragione: è l’accorgersi della presenza di un significato più grande di noi; è un modo di conoscere. In questa prospettiva il Centro Culturale di Milano propone il Ciclo “Pellegrini della Verità – Anno della Fede 2012/13”, che lunedì prossimo metterà a tema l’incontro fede-scienza; interverrà poi in gennaio l’Abate generale dei Cistercensi, Padre Mauro Lepori, su “L’inizio cresce o si consuma? Dialogo sul nostro tempo sulle tracce di San Benedetto” e in marzo Cleuza e Marcos Zerbini su “Tu sol pensando o ideal sei vero – Dall’ideale alla Presenza”.
«La fede, infatti, si trova ad essere sottoposta più che nel passato a una serie di interrogativi che provengono da una mutata mentalità che, particolarmente oggi, riduce l’ambito delle certezze razionali a quello delle conquiste scientifiche e tecnologiche. La Chiesa tuttavia non ha mai avuto timore di mostrare come tra fede e autentica scienza non vi possa essere alcun conflitto perché ambedue, anche se per vie diverse, tendono alla verità» (Porta Fidei, n. 12). Così, nel documento base per l’Anno della Fede, Benedetto XVI sintetizza due giudizi ampiamente espressi e documentati in tutto il Magistero della Chiesa e particolarmente importanti nell’attuale contesto culturale.
Da un lato la riduzione tipica della mentalità contemporanea, che restringe la validità della ragione al solo ambito delle conoscenze scientifiche; dall’altro la convinzione che non ci possono essere conflitti tra la fede e ogni autentica forma di conoscenza, compresa quella scientifica. Sarà interessante allora vedere come accoglierà questa prospettiva il mondo scientifico e in particolare come la considereranno i cosmologi, che affrontano lo studio dell’universo nel suo insieme e si confrontano con interrogativi che toccano quelli della filosofia e della teologia.
Un’anticipazione si potrà avere lunedì 12 novembre quando nell’aula Magna dell’Università Cattolica interverranno Michael Heller, cosmologo della Pontificia Università di Cracovia e Marco Bersanelli, Astrofisico dell’Università degli Studi di Milano proprio sul tema “Quando scienza e fede si incontrano in una persona”, per il primo incontro del ciclo “L’Anno della Fede: pellegrini della verità”, proposto dal Centro Culturale di Milano in collaborazione con l’Associazione Euresis. Heller è una personalità di spicco nella cultura contemporanea: le sue ricerche hanno portato rilevanti contributi spaziando dal campo della matematica, alla fisica e alla teologia. Polacco, è membro della Pontificia Accademia delle Scienze, docente presso la Pontificia Università Giovanni Paolo II di Cracovia e l’Istituto Teologico di Tarnóv; nel 2008 ha ricevuto il prestigioso Premio Templeton.
Su diverse delle questioni legate agli interrogativi sopra indicati circa il rapporto tra fede e scienza, Heller è più volte intervenuto; come nel libro-intervista “La scienza e Dio” (La Scuola) rispondendo alle domande del giornalista Giulio Brotti. A proposito del riduzionismo e del materialismo, ad esempio, commentando le novità introdotte dalla meccanica quantistica, indica l’affermarsi di un new materialism che «può limitarsi ad affermare, ad esempio, che l’universo nel suo complesso è autosufficiente. Si noti che tale concezione non afferma che non esiste un “assoluto”: piuttosto, esso è identificato con il cosmo. La questione che si deve affrontare, nel confronto con il new materialism, è: l’Assoluto coincide con il mondo fisico o con una realtà trascendente? È un essere consapevole, personale e libero, oppure no?».
L’analisi di Heller è sottile ma inesorabile: «Ripeto: che un Assoluto si dia risulta evidente a chiunque, non appena si fermi a riflettere. Coloro che ritengono che il mondo sia autosufficiente, affermano implicitamente che l’universo è questo Assoluto, anche se formalmente non fanno uso di tale termine, legato a una lunga tradizione filosofica». Il teologo di Cracovia è impegnato a sviluppare e a dar corpo all’affermazione della “Porta fidei” citata all’inizio. Un esempio è l’impulso che ha dato alla costituzione del Copernicus Center for Interdisciplinary Studies (al quale ha devoluto la somma del premio Templeton). Un altro episodio emblematico è la proposta che ha rivolto lo scorso anno, intervenendo al convegno dei rettori dei seminari della Polonia, di una riforma dei curricoli degli studi dei futuri sacerdoti che consenta di introdurre «alcune nozioni chiave del pensiero scientifico contemporaneo». Qui si collega una sua idea precisa circa l’importanza di persone ponte, «che possiedano delle conoscenze adeguate in campo scientifico e in quello teologico».
Lui stesso ne è un rappresentante; ma il suo riferimento principale è alla figura dell’abate Georges Lemaître che ottant’anni fa, con la sua ipotesi della nascita dell’universo da un “atomo primitivo”, ha avviato la cosmologia del Big Bang. Per mettere in guardia da facili tentazioni “concordiste”, che tendono a vedere nella scienza conferme dei testi biblici interpretati in modo letterale, Heller racconta volentieri della reazione di Lemaître a un frettoloso accostamento tra il Big Bang e il Fiat lux della Genesi, contenuto in un discorso del 1951 di Pio XII; e di come l’insistenza dell’abate cosmologo abbia portato il Pontefice a “correggere il tiro” evitando di incappare nella trappola del God of the gaps, il “Dio delle lacune” o “Dio tappabuchi”.
«Lemaître – dice Heller – riteneva che non si dovessero praticare scorciatoie teologiche per colmare le nostre lacune presenti nella comprensione scientifica dei fenomeni». La posizione concordista è per Heller doppiamente “colpevole”: perché si pecca contro il metodo della scienza e si blocca in qualche modo la ricerca «se immediatamente si postula una spiegazione di ordine soprannaturale». Ma è colpevole anche nei confronti della teologia: «implicitamente si sostiene che l’opera di Dio, la creazione, sia manchevole per più aspetti, visto che lo stesso Dio dovrebbe intervenire periodicamente, per mantenerne l’equilibrio. Questo, sotto il profilo teologico, è un errore molto grave».
Che un rigoroso lavoro scientifico possa aprirsi alle altre dimensioni dell’esperienza umana e, al contempo, ricevere da queste impulso e supporto, Heller lo vede proprio nella fisica quantistica, l’ambito che sembrerebbe più lontano e problematico: «il mondo di cui ci parla la meccanica dei quanti è diverso da quello percepibile, ma nondimeno è perfettamente razionale e dotato di una sua peculiare bellezza. La fisica subatomica ci impartisce una lezione sul Mistero. In tale contesto, la parola “mistero” non indica una dimensione irrazionale. Al contrario: si tratta di una razionalità che di gran lunga supera la nostra, benché noi, in certa misura, ne partecipiamo». Lo studioso polacco cita il filosofo francese Gabriel Marcel che, pur non essendo particolarmente interessato alla fisica, «aveva sviluppato una riflessione profonda sul tema del Mistero».
Un problema, affermava Marcel «è qualcosa che si incontra, che ci sbarra la strada. È davanti a me nella sua totalità. Al contrario, il mistero è qualcosa in cui mi trovo impegnato e perciò non viene a trovarsi davanti a me nella sua totalità. È come se in questa zona la distinzione tra in me e davanti a me perdesse il suo significato». Un problema, conclude Heller «è oggettivabile; idealmente, possiamo sempre disporne i termini “di fronte a noi”, mentre nel mistero siamo coinvolti, ne facciamo parte».