Quest’anno il tradizionale bilancio scientifico dei dodici mesi trascorsi è facilitato: c’è infatti una star, protagonista assoluta della ricerca, che ha svolto tutta la parabola annuale culminando all’inizio del secondo semestre con l’atteso annuncio della scoperta. Stiamo parlando ovviamente del bosone di Higgs, la particella elementare che anche i non addetti hanno imparato a conoscere, anche se forse più di nome che nelle sua reale natura di fattore fondamentale per la comparsa della massa nell’universo.



Fin dai primi mesi si erano diffusi rumors della possibile cattura del bosone da parte di Atlas e Cms, due degli apparati sperimentali del grande acceleratore Lhc che opera al Cern si Ginevra; e in effetti i dati raccolti dalle collisioni ad altissima velocità tra i protoni iniziavano a diventare significativi. Ma la cautela era d’obbligo e i gruppi che in tutto il mondo collaborano ai due esperimenti non avevano tregua nell’elaborare i risultati cercando di raggiungere il grado di confidenza statistica che permettesse di emettere un responso con la massima certezza (scientifica) possibile.



A fine febbraio l’attenzione del mondo dei fisici, e non solo, era stata dirottata su un’altra pista, cioè sull’esito delle verifiche circa la velocità dei neutrini: si confermava, come molti sospettavano, che la loro velocità non era superiore a quella della luce e che gli esperimenti che in un primo tempo avevano fatto pensare il contrario erano viziati da un duplice baco: una cattiva connessione fra la fibra ottica che collegava il Gps receiver installato ai laboratori del Gran Sasso con l’elettronica del rivelatore e un misuratore temporale che si credeva quantizzato a 5 nanosecondi e invece lo era a 50 nanosecondi.



Nei mesi successivi tuttavia il bosone tornava alla ribalta e il lavoro febbrile dei gruppi del Cern dava sempre più consistenza ai risultati che lo individuavano con una massa tra le 125 e 126 volte più di quella del protone; così si poteva arrivare al fatidico 4 luglio quando in una affollata conferenza al Cern (e via web cast in tutto il mondo) i responsabili dei due esperimenti potevano annunciare di aver osservato indipendentemente una nuova particella compatibile con quella ipotizzata da Peter Higgs per completare il Modello Standard che descrive la costituzione elementare della materia. La particella era stata misurata con livello di significanza di 5 sigma, che è quello considerato dalla fisica necessario per dichiarare confermata sperimentalmente una scoperta.

Le immagini del vecchio mister Higgs che abbraccia Fabiola Gianotti, coordinatrice di Atlas, hanno fatto il giro del mondo, dando allo scarno annuncio tecnico quella carica di simboli cui anche la scienza più sofisticata non può rinunciare: il valore dell’incontro tra due generazioni di scienziati; la staffetta ideale tra due scuole di fisici come quella britannica e quella italiana; la fusione di due anime della fisica, quella teorica e quella sperimentale, che si intrecciano mirabilmente ogni volta che si solleva il velo di qualche mistero della natura.

La notizia della scoperta diventava ancor più eccitante non solo perché “chiudeva” brillantemente un quadro – quello che riconduce tutta la materia a poche particelle elementari e ad alcune interazioni fondamentali – ma perché ne “apriva” subito un altro, facendo intravvedere, a un’analisi più raffinata dei dati, possibili modelli e paradigmi innovativi basati su concetti come quello della supersimmetria. L’ipotesi dello scenario di una “nuova fisica” ha avuto conferme e smentite nei mesi successivi e tra alti e bassi è una delle questioni più interessanti che viene consegnata alla comunità scientifica nel 2013.

Da qui in poi la cronaca è riempita da tutte le ricadute mediatiche della grande scoperta: l’improvvisa celebrità di concetti e teorie lontani dal parlare di tutti i giorni e l’interesse diffuso per quello che succede nei laboratori sotterranei di un acceleratore come Lhc. Poi ancora il resoconto della serie di premi raccolti dai protagonisti e, proprio in questi giorni, l’inserimento della Gianotti nella top ten stilata dalla rivista Nature dei personaggi che hanno segnato il 2012 della scienza; dove la scienziata appare insieme a Bernardo De Bernardinis, uno dei responsabile secondo il tribunale de L’Aquila del mancato allarme sul tremendo terremoto del 2009: a indicare un’altra faccia problematica del rapporto tra scienza e società.

Siamo così arrivati alla copertina dell’ultimo numero di Science, che riporta un mosaico di immagini dei rivelatori di Atlas e Cms con al centro la definizione del bosone di Higgs come breakthrough (letteralmente: sfondamento, cioè scoperta che spalanca nuovi orizzonti) dell’anno. Una scoperta che non è stata l’unico risultato rilevante dell’anno; e le riviste e i siti web sono pieni di elenchi e classifiche che vedono in primo piano i ritrovamenti di molecole organiche da parte del rover Curiosity su Marte; gli annunci, più o meno a effetto, sulle potenzialità delle cellule staminali; le quasi-particelle previste 70 anni fa da Ettore Majorana (sulla cui scomparsa ancora quest’anno si sono lette presunte rivelazioni); la ricostruzione del genoma dell’Homo di Denisova, una specie arcaica con caratteristiche simili all’uomo di Neanderthal, vissuto in Siberia tra 74.000 e 82.000 anni fa.

Dietro a tutto questo si può vedere semplicemente il frutto della macchina comunicativa moderna, potenziata dai nuovi strumenti informatici e multimediali. Ma si può anche scorgere qualcosa di più profondo, che tocca domande e attese di tutti e trasforma scoperte come quelle citate in provocazioni per tutti. Come dichiarava il fisico-teologo Giuseppe Tanzella-Nitti a ilsussidiario.net il giorno dopo l’annuncio del Cern, rispondendo alla domanda se, dopo una scoperta così, l’universo diventa meno misterioso: «Direi di no. Il mistero continua, gli orizzonti si allargano. Le domande che la scienza ci pone sono sempre più profonde e non vengono esaurite da una nuova misura. L’orizzonte della nostra conoscenza, anche di quella scientifica, è aperto all’essere, alla totalità. E questo semplicemente perché la conoscenza è una dimensione del nostro spirito, illimitato perché trascende la materia. Il mondo materiale potrà un giorno finire, ma la conoscenza che abbiamo di esso, nella misura in cui partecipa della conoscenza di Dio, non termina mai».

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