Mentre i “sette nani”, ovvero i sette piccoli satelliti portati in orbita dal lanciatore Vega il 13 febbraio stanno iniziando la loro attività cosmica, cresce l’attenzione del mondo dell’aerospace verso questa nuova tipologia di veicoli spaziali. Indubbiamente è l’ora dei nano satelliti, più noti con la denominazione Cube-sat, dove il prefisso Cube sta ad indicare gli standard di riferimento di questa classe di nanosatelliti “cubici” delle dimensioni di 10 cm di lato e con una massa di circa un chilogrammo.



Proprio il giorno dopo il lancio di Vega, la Nasa ha varato il terzo round della CubeSat Launch Initiative, annunciando la selezione di 33 piccoli satelliti che potranno volare come carico ausiliario in missioni pianificate per il 2013 e 2014. I progetti selezionati provengono da varie università americane ma anche dalla Radio Amateur Satellite Corporation, oltre che da vari centri della Nasa e del Dipartimento della Difesa. Ci sono, ad esempio, università celebri come il MIT di Boston, le università del Texas di Austin, della California di Berkeley, la Cornell di Ithaca (N.Y.) e c’è anche l’Università delle Hawaii di Manoa con ben tre CubeSat; e poi il Jet Propulsion Laboratory (JPL) di Pasadena e i centri Nasa come l’Ames, il Goddard e lo stesso Kennedy Space Center di Cape Canaveral. Questi e gli altri centri hanno elaborato progetti di Cube-sat predisposti per dimostrazioni tecnologiche, ricerche di tipo “educational” e vere e proprie mission scientifiche.



Nei primi due round della CubeSat Launch Initiative erano stati selezionati 32 progetti e otto missioni Cube-sat hanno preso il volo attraverso l’apposito programma ELaNa (Educational Launch of Nanosatellite). Tutto ciò ha contribuito allo sviluppo e al consolidamento di questa nuova tecnologia.

L’idea si era sviluppata a partire dalla constatazione che spesso il carico utile primario dei veicoli spaziali non esaurisce la capacità di lancio del razzo vettore e c’è posto per altre apparecchiature; la Nasa ha perciò iniziato a riservarsi la possibilità di completare il carico con un certo numero di moduli più piccoli dei normali satelliti. È nato così il programma pilota CubeSat e nel 1999 è stato messo a punto lo standard che prevede le dimensioni sopra indicate.



Questa possibilità tecnica è venuta incontro a un’esigenza diffusa di poter far partecipare direttamente alle missioni spaziali piccoli centri di ricerca e università, che non potrebbero affrontare imprese più impegnative. Le caratteristiche tecniche dei piccoli moduli permettono di ridurre molto i costi e i tempi di produzione e di avvicinare anche soggetti piccoli allo sviluppo di satelliti come oggetti di ricerca e approfondimento didattico e tecnologico per gli studenti; ma ci sono ricadute di questi progetti che possono essere spendibili in tutto il settore aerospaziale, che ha sempre difficoltà di investimenti. La Nasa ha trovato una formula per la quale si assume i costi di lancio lasciando ai centri il resto dell’impegno economico.

Ma che tipo di missioni possono ritenersi ideali per i Cube-sat?

Anzitutto quelle per osservazioni della Terra, con possibilità di ottenere immagini di ogni tipo e da ogni angolatura, sfruttando la flessibilità di movimento dei piccoli satelliti e la crescente disponibilità di fotocamere miniaturizzate. Poi, naturalmente, le indagini astronomiche, tramite telescopi a basso prezzo ma ugualmente di qualità; tanto da pensare di impiegarli per l’osservazione degli esopianeti, i pianeti di altri Soli, la cui lista si sta allungando di giorno in giorno. Qualcuno ha anche proposto di spedire dei Cube-sat in orbita attorno alla Luna, con voli più lenti di quelli delle missioni Apollo ma con notevole risparmio di energia.

E le potenzialità possono aumentare con lo sviluppo di nuovi modelli. Una volta aperta una pista tecnologica, si sa, l’inventiva degli ingegneri e dei progettisti non si ferma. Infatti già c’è chi ha pensato di assemblare più cubi per avere un satellite non più cubico ma a torre, quindi meno “nano”, fino a raggiungere l’altezza di ben 30 cm e oltre. Si lavora anche all’idea dei chip sat, ancor più piccoli ma col vantaggio di un favorevole rapporto superficie/massa che consentirebbe loro di ottenere prestazioni impossibili agli altri satelliti. I chip sat potrebbero essere messi in orbita dai Cube o addirittura sparati da questi nelle orbite più alte tramite opportuni sistemi propulsivi.

Le università italiane non sono estranee a questo trend e già su Vega hanno fatto sentire la loro presenza con i satelliti realizzati dalle università di Bologna, Roma e Torino. In quest’ultimo caso, in particolare, presso il Politecnico nell’ambito dell’AeroSpace System Engineering Team è stato progettato il satellite E-ST@R, finanziato con i fondi per la progettualità studentesca; ed è stato ben più di un semplice progetto: dal 2009 ha coinvolto più di cento studenti, tra gruppi di lavoro attivati durante i corsi, progetti di tesi di laurea e di dottorato, fino a realizzare un satellite che rispetta pienamente i parametri industriali ed è in grado di svolgere le sue funzioni in un ambiente complesso come lo spazio.