Il satellite Icesat (Ice, Cloud, and land Elevation Satellite), lanciato dalla Nasa nel 2002 all’interno di un programma di osservazioni della Terra, ha fornito dati preziosi sul nostro pianeta e in particolare sulle foreste; dati che dal 2005 sono stati elaborati da un team di specialisti del JPL (Jet Propulsion Laboratory), dell’Università del Maryland e del Wood Hole Research Center, integrandoli con quelli raccolti da altri satelliti ambientali. Il risultato è stata la realizzazione della prima mappa globale delle zone forestali, ora disponibile liberamente online, con al sorpresa che le piante hanno un’altezza media maggiore di quanto si pensava e quindi è maggiore anche la quantità di anidride carbonica che possono assorbire. La notizia merita qualche approfondimento, pur senza entrare in un esame dettagliato.
Una prima considerazione è rivolta al Global change e agli effetti delle attività antropiche. Spesso di fronte a risultati come questi viene messo in evidenza come l’uomo stia modificando l’ambiente terrestre e come la stima di tali effetti necessiti approcci anche di carattere globale. L’influenza dell’anidride carbonica sulla crescita degli alberi è argomento di ricerche sempre più diffuse, che solo nel campo forestale sono nell’ordine delle centinaia nel corso degli ultimi anni, secondo la banca dati SCOPUS. Da questa letteratura sappiamo anche che, a livello globale, le foreste, attraverso l’accumulo di sostanza organica, sono in grado di assorbire il 37% delle emissioni di CO2 di natura antropica.
A livello italiano, altri autori hanno evidenziato che, attraverso la realizzazioni di impianti forestali, si potrebbe “bloccare” 3,4 t di carbonio per ora per anno. Sono numeri ed evidenze scientifiche che ci fanno capire come sia importante avere anche a livello nazionale una politica forestale indirizzata anche per il sequestro dell’anidride carbonica e al contrasto del Global change. Sarebbe oltre modo importante favorire un incremento dei “polmoni verdi” anche attraverso piantagioni specializzate che possono fare ricorso a genotipi migliorati (es. selezioni di pioppo studiate nel progetto FACE).
Una seconda considerazione meritano le cosiddette tecnologie di Remote Sensing, impiegate nelle ricerche in questione. Queste tecnologie, che possono utilizzare sonde radar e laser (LIDAR), portate da aereo o da satellite, forniscono un quadro di informazioni utilizzabili sia dal punto di vista scientifico (monitoraggio dei diversi ambienti terrestri) sia tecnico applicativo. A livello globale queste tecnologie sono state utilizzate nel 2008 per stimare al quantità di carbonio immagazzinata nelle torbiere indonesiane. Dai rilievi effettuati con sonde radar è stato possibile stimare questa quantità pari a 55 Gt (miliardi di tonnellate). È stata un’acquisizione importante, che ha determinato una maggiore attenzione anche dell’opinione pubblica nella conservazione di ecosistemi forestali non adeguatamente conosciuti.
Per quanto riguarda le sonde laser, merita ricordare come queste sono da alcuni anni soggetto della ricerca in campo ambientale e forestale. Negli Usa questo tipo di sonda laser è utilizzato per stimare su ampie zone parametri quali la copertura forestale, l’altezza degli alberi, la biomassa e l’evoluzione delle cenosi forestali. In Italia c’è un programma di ricerca di interesse nazionale finanziato dal MIUR (progetto Inflaming) e si sta valutando l’applicazione di queste tecnologie nell’acquisire questi dati per la definizione di strategie nella lotta agli incendi boschivi.
Un’ultima, ma non meno importante questione, riguarda la “fuga” dall’Italia dei cervelli ed è stata messa in evidenza in una recente intervista ad Alessandro Baccini, lo scienziato italiano che ha contribuito a questi studi operando proprio al Wood Hole Research Center, il più importante centro mondiale per gli studi forestali. Ci preme sottolineare come il collega non ha messo in dubbio la capacità mostrata dal Sistema Universitario Italiano nel produrre laureati in grado di potere competere nei diversi campi del sapere scientifico anche in una terra considerata al massimo delle graduatorie nel campo universitario e della ricerca. Va considerato semmai, come sottolineato dall’intervistato, l’incapacità del Sistema Italia, Università compresa, di trattenere questi “cervelli in fuga”.
Oggi il nostro Paese sta fronteggiando un periodo di grave crisi economica, ma questo non dovrebbe avere come conseguenza il penalizzare la ricerca. In fatti, l’efficacia del Sistema Universitario e della Ricerca costituisce la base per potere competere con le economie affermate ed emergenti, dove il valore è costituito dalla capacità di innovazione, principale condizione per garantire un valore aggiunto. A livello internazionale, tutti i nostri principali competitor, nel quadro dei tagli ai servizi pubblici, hanno voluto mantenere o incrementare gli investimenti nel Sistema Universitario e della Ricerca, ma l’Italia cosa farà?