Molte persone sono informate sulle problematiche dei cambiamenti climatici e sugli effetti dell’aumento antropogenico dei gas serra, dei quali l’anidride carbonica (CO2) è il principale componente. Il rilascio di circa 440 miliardi di tonnellate di carbonio in atmosfera proveniente dall’uso di combustibili fossili e dalla deforestazione ha fatto aumentare la concentrazione atmosferica di questo gas dai valori preindustriali di circa 285 ppm (parti per milione) agli attuali 390. E questo è avvenuto nonostante le componenti naturali del ciclo del carbonio terrestre, quali l’oceano, la vegetazione e il suolo, abbiano ridotto questo accumulo assorbendone più del 50%.
Quello che spesso non viene considerato è invece l’altro problema della CO2 e cioè che il servizio di rimozione di carbonio antropogenico operato naturalmente dall’oceano (circa il 25-30%) abbia delle conseguenze negative. All’aumentare della pressione parziale della CO2 atmosferica aumenta lo scambio con l’oceano e molta più CO2 (circa 8 milioni di tonnellate di carbonio al giorno) si scioglie in acqua formando acido carbonico che si dissocia rapidamente nei principali ioni bicarbonato e carbonato liberando ioni H+. Questo processo porta a un calo del pH e quindi a un aumento dell’acidità degli oceani (“acidificazione dell’oceano”).
Gli studi a livello dell’oceano globale hanno rilevato una diminuzione di pH pari a circa il 30% dall’inizio dell’era industriale e le proiezioni basate su scenari futuri di emissione stimano un ulteriore aumento sino al 120% per la fine di questo secolo. L’aumento di acidità porta a una maggiore suscettibilità delle strutture carbonatiche di molti organismi marini, tra i quali gli scheletri dei coralli e i gusci di diversi organismi planctonici e di altri che vivono fissati al fondo marino, che sono fatti di carbonato in forma di calcite e di aragonite. Per questi organismi diventa più difficile costruire e mantenere le proprie strutture vitali, con conseguenze che si possono propagare anche sull’intero ecosistema e della catena trofica di cui sono parte.
L’oceano non è un ambiente acido e in particolare il Mediterraneo è uno degli ambienti marini con i valori di alcalinità maggiore. Eppure è importante considerare la variazione percentuale in atto e, nel caso del Mediterraneo, ciò sta avvenendo in un ecosistema per sua natura adattato a condizioni decisamente alcaline.
Il progetto europeo MedSeA “Acidificazione del Mediterraneo in un clima che cambia” – finanziato dalla Commissione europea, col coinvolgimento di 18 istituti di 11 nazioni e sotto il coordinamento dell’Università Autonoma di Barcellona – ha come obiettivi principali:
1 – l’identificazione delle regioni Mediterranee dove la riduzione di pH sarà più importante tenendo in considerazione le variazioni della chimica dell’acqua e della temperatura, la risposta dell’ecosistema e le conseguenze socio-economiche in alcuni settori chiave;
2 – la determinazione dell’effetto combinato dell’acidificazione e riscaldamento su alcuni organismi e ecosistemi marini endemici del Mediterraneo, considerando il loro significato economico e sociale;
3 – le proiezioni sui futuri cambiamenti di pH e di altri parametri significativi del sistema carbonatico marino del Mediterraneo, considerando le possibili variazioni degli habitat caratteristici di specie e ecosistemi tipici del Mediterraneo e gli impatti ecologici, economici e sociali.
Per studiare la risposta degli ecosistemi marini ai possibili futuri valori di pH, gli scienziati del progetto utilizzano anche un vero e proprio laboratorio naturale: le fumarole sottomarine dell’Isola di Vulcano, dove l’ambiente marino è sottoposto a una graduale acidificazione sino a valori simili a quelli che si raggiungeranno alla fine del secolo se le emissioni continueranno a questi ritmi.
Questo processo di riduzione del pH avviene in una regione che è considerata tra le più sensibili al riscaldamento climatico. Una nuova analisi delle proiezioni di cambiamento climatico appena concluse nel progetto europeo ha evidenziato una possibilità di aumento delle temperature medie superficiali al 2050 di circa 1 oC nel periodo invernale e maggiore di 2 oC durante l’estate, soprattutto nelle regioni del Mediterraneo orientale, nel nord Adriatico, nella zona delle Baleari e nell’Egeo. Diversi habitat unici dell’ambiente Mediterraneo si trovano in queste regioni, quali in particolare le praterie di Posidonia oceanica, i sistemi coralligeni, i coralli profondi e le piattaforme a vermetidi.
L’effetto combinato di acidificazione delle acque e della temperatura potrebbe pertanto portare a una maggiore vulnerabilità di questi caratteristici ambienti dell’ecosistema Mediterraneo. I primi risultati del progetto hanno evidenziato chiaramente la fragilità di alcuni di questi ecosistemi mediterranei a fronte dei rapidi cambiamenti ambientali, suggerendo una possibile riduzione della biodiversità e/o estinzione a carattere regionale quando vengano considerate le proiezioni di acidificazione e riscaldamento future.