Detta così, sembra una rivoluzione epocale, destinata a modificare il destino energetico dell’umanità: i ricercatori dell’Università della California sono riusciti a trasformare della semplice anidride carbonica in carburante, avvalendosi dell’ausilio di elettricità e alcuni batteri modificati geneticamente. L’esperimento è stato pubblicato sulla prestigiosa Science. Ne parla a ilSussidiario.net Carlo Soave, professore di fisiologia vegetale presso l’Università degli Studi di Milano. «L’esperimento è nato da un quesito: disponiamo di pannelli fotovoltaici, che attraverso l’energia luminosa producono elettricità. Tuttavia, l’energia elettrica non può essere immagazzinata. Va messa in rete e consumata. Ebbene: come incamerarla per poterla usare successivamente?» Il professore prosegue nella spiegazione: «si sa da tempo che, se in una cella elettrochimica si introduce della Co2 si produce acido formico, una forma di anidride carbonica ridotta». Per intenderci meglio: «attraverso un fermentatore in cui sono stati iniettati dei microrganismi e della Co2, è stato possibile utilizzare l’energia elettricità prodotta dal pannello fotovoltaico per far sì che tali microrganismi utilizzassero l’acido formico degradandolo, e usandolo come fonte di carbonio per produrre isobutanolo, un alcol che può essere usato come additivo nei carburanti». E così, l’esperimento è riuscito: «Si è trasformata l’energia elettrica prodotta da un pannello fotovoltaico in una molecola immagazzinabile e utilizzabile in futuro. E’ quello che, in sostanza, fanno le piante quando usano l’energia solare».



Detto così, sembra un processo semplicissimo. «Non è particolarmente complicato, in  effetti. Il problema è capire quanto se ne riesce a produrre, in che tempi e a che costi. Secondo l’articolo di Science, si producono160 milligrammi di isobutanolo ogni cento ore». Non è un granché. «Che la cosa abbia un senso scientificamente, non è in dubbio. Occorrerà vedere se ce l’ha anche economicamente». Si tratta di un problema analogo a quello per la produzione delle biomasse. «Se usiamo le piante per fare carburante, ne abbiamo abbastanza per fare cibo? Si deve, da questo punto di vista, fare i conti con la disponibilità dei terreni. Conti che, del resto, sono stati fatti e sono noti». 



Su questo fronte, spiega il professore, l’Italia non è certo alle prime armi: «la conversione di biomasse in bioetanolo è già in atto. E’ necessario, tuttavia, ottimizzare la produttività di quelle specie vegetali dedicate alla produzione di biocarburanti, migliorare la trasformazione dal punto di vista delle licenze e dei costi e organizzare l’uso dei terreni in modo tale da non avere impatti ambientali negativi». 

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