Il 2012 è anno bisestile, si festeggia il centenario della morte di Pascoli, ma è anche l’anno della fine del mondo, secondo la ben nota leggenda Maya. Pochi però ricordano che l’anno che stiamo attraversando cade a un secolo da una fra le più significative scoperte nella storia della scienza. Nel 1912, infatti, è stata individuata l’origine di un fenomeno misterioso e di portata incalcolabile per lo sviluppo di tutta la scienza.



I protagonisti di questa scoperta non portavano grandi nomi, come quello di Einstein, o Planck, o qualsiasi altro dei grandi scienziati del tempo che si studiano a scuola. I nomi sono infatti quelli poco noti di Viktor Hess, fisico austro-americano, e dell’italiano Domenico Pacini, meteorologo e geofisico. Ma la storia di questa scoperta attraversa i secoli, affondando le sue radici nei primi studi sull’elettrostatica e dilatandosi fino ai più moderni e importanti esperimenti di cosmologia, astrofisica e fisica delle particelle.



La scoperta tanto importante e fondamentale è quella dei raggi cosmici. Oggi sappiamo che la Terra viene investita continuamente da diverse famiglie di particelle, con concentrazioni spaziali e temporali che variano a seconda del tipo e dell’energia. Buona parte di queste particelle viene schermato dalla nostra atmosfera, che diventa la sede per una o più generazioni di particelle secondarie o di ordini superiori.

Non è difficile visualizzare cosa accade: particelle cariche e molto energetiche, provenienti da punti più o meno distanti della nostra o di altre galassie, arrivano nei pressi della nostra atmosfera e nella quasi totalità dei casi interagiscono con le molecole degli strati esterni del nostro prezioso e delicato involucro. Si generano nuove particelle, che formano una vera e propria scarica che attraversa larghi strati dell’atmosfera. Si parla in proposito di “sciame” di particelle.



Dalla scoperta di Hess e Pacini in poi, lo studio dei raggi cosmici è diventato sempre più importante per capire la natura di alcuni costituenti fondamentali della materia e per comprendere alcuni meccanismi altamente energetici presenti in oggetti lontani ed esotici, come i buchi neri, i quasar, i nuclei galattici attivi. Esiste una precisa “zoologia” sia delle particelle che possono arrivare sulla Terra come raggi cosmici, sia dei vari sottoprodotti che possono creare. Quello che non è ancora del tutto chiaro è l’origine di alcuni tipi di raggi cosmici, soprattutto i più energetici, che devono essere quasi certamente stati creati in galassie differenti dalla nostra.

Ma cosa sono i raggi cosmici? Sostanzialmente sono protoni (per il 90%), nuclei di Elio, cioè particelle alfa (due protoni e due neutroni), altri nuclei leggeri, gli ormai celebri neutrini, fotoni o particelle di antimateria, come positroni (anti-elettroni) o antineutrini. L’oggetto che permise la scoperta è l’elettroscopio. È uno strumento semplicissimo: a un’estremità di una piccola asta metallica si attaccano due foglie d’oro e l’asta è infilata in un tappo di materiale isolante che chiude un contenitore di vetro, in modo che le due foglie siano all’interno del vetro. Avvicinando un conduttore carico all’estremità libera dell’asta accade che le due foglie, per effetto dell’uguale carica, si distanziano l’una dall’altra. Le foglie si possono riavvicinare facendo scaricare l’elettroscopio: basta avvicinare un conduttore non carico all’estremità libera.

Nel 1785 Coulomb osservò che dopo un tempo abbastanza lungo, le foglioline inaspettatamente si riavvicinano, anche con un isolamento elettromagnetico ottimale all’interno del contenitore. Questo era inspiegabile, in quanto le foglie dovrebbero rimanere cariche. Faraday successivamente dimostrò che creando il vuoto all’interno dell’elettroscopio il processo di scarica risultava meno efficiente, dilatandosi nel tempo. La conclusione era implicita: l’aria all’interno si ionizzava e gli ioni così creati facevano scaricare le lamine prelevando le cariche dalle loro superfici. Ma perché l’aria si ionizzava? Da dove arrivava l’energia necessaria? Quale tipo di radiazione invisibile e penetrante era la causa di questo imprevisto fenomeno?

Dopo la scoperta del fenomeno della radioattività naturale, alla fine del XIX secolo, si è pensato che la scarica dell’elettroscopio fosse dovuta alla radiazione naturale presente al suolo: è la radiazione prodotta dalla radioattività ambientale naturale – si pensava – che ionizza le molecole d’aria. Dall’inizio del XX secolo si è perciò iniziato a cercare conferma di questa ipotesi. Dal 1907, Pacini iniziò una serie di esperimenti per verificare se e quanto il contributo della radioattività terrestre fosse determinante. Quasi contemporaneamente Hess si era impegnato nella stessa ricerca. Pacini cercò di misurare la diminuzione dell’influenza della radioattività posizionando l’elettroscopio in acqua, sotto la superficie del mare al largo di Livorno e nel lago di Bracciano, arrivando fino a 3 metri sotto il livello del mare. Hess salì con un elettroscopio su un pallone aerostatico e arrivò a quasi 5.000 metri di altezza. Pacini provò a misurare le radiazioni in mare aperto, ipotizzando che l’influenza delle sostanze radioattive doveva essere maggiore nell’atmosfera vicina al terreno che sulla superficie del mare. Non registrò, però, grandi differenze.

Proseguendo negli esperimenti, riscontrò che la ionizzazione sotto la superficie del mare si riduceva di poco rispetto a quella in superficie. Concluse quindi che “una parte non trascurabile della radiazione penetrante che si riscontra nell’aria, avesse origine indipendente dall’azione diretta delle sostanze attive contenute negli strati superiori della crosta terrestre” (Nuovo Cimento, 1912). Hess diede la conferma definitiva: la velocità di scarica dell’elettroscopio aumentava man mano che si saliva, “scagionando” sostanzialmente la radioattività ambientale. Per questo nel 1934 ricevette il Nobel per la fisica, quando Pacini era ormai morto da due anni.

L’origine della radiazione, dunque, doveva per forza essere extra-terrestre. Da lì in avanti le ricerche sui raggi cosmici sono fiorite e hanno investito pressoché tutta la ricerca astrofisica e grandi parti della fisica delle particelle. Non si usa più l’elettroscopio: oggi, infatti, grandi esperimenti a terra, in atmosfera e nello spazio non cessano di scandagliare il cielo con strumenti sofisticati e a volte imponenti.

L’Italia, come il suo poco conosciuto Pacini e poi con altri grandi scienziati (basti citare Bruno Rossi e Giuseppe Occhialini), è uno dei paesi più esperti in questo tipo di studi. E si rimane ancora stupiti di come da un piccolo e apparentemente insignificante esperimento di elettrostatica e dalla curiosità di un uomo, Coulomb, sia partita un’attività di studio e ricerca che dura da quasi duecento cinquanta anni e ha profondamente modificato la nostra visione del mondo.