Ormai la big science si fa in diretta mondovisione. Notizie, immagini, spiegazioni non fanno in tempo ad affiorare dalla penombra dei laboratori che subito prendono la via del villaggio globale. Il caso della caccia al bosone di Higgs è quello più evidente: ogni avanzamento delle indagini che avvengono nei laboratori del Cern di Ginevra, e in migliaia di altri laboratori di fisica di tutto il mondo, diventa notizia, anticipata dal tam tam di Internet e poi disseminata su tutti i media.



Così abbiamo saputo che il mega acceleratore LHC – dove dovrebbero avvenire le collisioni tra protoni che riveleranno la presenza della singolare particella responsabile della massa delle particelle materiali – ha iniziato in questi giorni il machine check-out, cioè il collaudo di tutti i sistemi per prepararsi all’iniezione dei fasci di particelle; e veniamo aggiornati sul fatto che l’energia sarà innalzata a 4 TeV: un valore mai raggiunto finora, che porterà l’energia complessiva nel punto di collisione a 8 TeV con un decisivo aumento delle prestazioni dell’acceleratore.  



Nel frattempo ogni aggiustamento del valore stimato della massa alla quale si rivelerà l’Higgs, viene diramato in tempo reale e ora i fisici delle collaborazioni ATLAS e CMS sono convinti che il valore vada ristretto tra i 124 e i 125 GeV.

Dall’altra parte dell’Oceano, mentre al Fermilab di Chicago l’acceleratore Tevatron – l’unico potenziale concorrente di LHC – è inesorabilmente spento dal settembre scorso, gli scienziati che vi avevano lavorato con entusiasmo non si rassegnano e setacciano disperatamente i dati emersi dagli ultimi scontri tra protoni e antiprotoni sperando di trovare tracce dello sfuggente bosone e bruciare sul filo di lana di Stoccolma (nei giorni del Nobel) i colleghi che operano in Europa. L’altro ieri i fisici del Tevatron hanno dichiarato di aver intravisto un segnale di un possibile Higgs in un intervallo di energia tra 115 e 135 GeV, quindi compatibile con le misure dei fratelli maggiori del Cern.



Se guarderete i vari blog, Twitter e Facebook nei prossimi giorni, non vi sfuggirà qualche altra notizia su questa che potrebbe essere la scoperta dell’anno, da vivere in diretta.

Ben diversa è stata la partecipazione alle grandi scoperte nella storia della scienza, pur con interessanti differenze e qualche analogia.

Quando Galileo ha scoperto i satelliti di Giove, era solo a Padova nelle fredde notti invernali del 1609-1610; e durante il giorno c’era solo il paziente Marcantonio Mazzoleni ad aiutarlo nel progressivo perfezionamento del cannocchiale. Però, già nel grande scienziato pisano era viva la preoccupazione che la notizia potesse arrivare tempestivamente almeno a chi poteva valorizzarla (e fornire finanziamenti): in mancanza delle e-mail, Galileo si dedicava alla redazione di lettere che erano sì personali ma avevano il valore delle newsletter e degli articoli inviati oggi alle riviste scientifiche internazionali. Come la lettera inviata ad Antonio de’ Medici il 7 gennaio 1610, il giorno dopo la scoperta attorno al pianeta gigante delle prime tre lune e prima della scoperta della quarta e della dedica al granduca di Toscana degli “astri medicei”.

Altre scoperte sono avvenute in presenza del pubblico. Come quella del danese Hans Christian Oersted che, nell’inverno 1819-1820, decise di eseguire direttamente in aula, durante una lezione all’università di Copenhagen, l’esperimento che rivelò il legame tra elettricità e magnetismo. Un ago magnetico si era mosso al passaggio della corrente: per Oersted era la conferma evidente di un’ipotesi che sosteneva da tempo; anche se, nota lui stesso, “l’esperimento non fece molta impressione all’uditorio”.

Nel campo delle bioscienze, totalmente solitaria è stata l’impresa di Gregor Mendel e tutta chiusa nell’orto del monastero di Brno dove, agli esperimenti sui piselli che gli permetteranno di arrivare alle leggi dell’ereditarietà, l’abate boemo alternava lo svolgimento delle sue mansioni monastiche. Dall’orto le sue ricerche uscirono solo nel febbraio 1865, quando Mendel le presentò alla locale Società di Storia Naturale; la sua comunicazione sarà poi pubblicata sulla rivista della Società ma resterà avvolta da una cortina di silenzio per oltre trent’anni, fino a quando nel 1900 De Vries, Correns e Tschermak riscoprirono simultaneamente le celebri leggi.

Oggi invece tra la scoperta e la sua circolazione passano a volte poche ore. Ciò da un lato è segno di interesse per la ricerca, di una maggiore consapevolezza (forse) che le acquisizioni scientifiche hanno una rilevanza culturale per tutti e non soo per gli specialisti. Dall’altro lato, la rapidità di diffusione ostacola quel lavoro di paziente riflessione e di attenta analisi dei particolari che lo studio della natura richiede.
Soprattutto oggi. Sia per l’elevato livello di raffinatezza degli strumenti disponibili, che consentono di misurare e rappresentare i fenomeni con una precisione elevata, alla quale si accompagna una altrettanto elevata possibilità di errore o di malinteso. Sia per una caratteristica intrinseca del mondo naturale, che si svela lentamente e in modo “sottile”, come ricordava spesso Einstein: dalle lontane galassie, ai microorganismi, ai sistemi nanotecnologici, ci sono fattori calibrati con estrema delicatezza e parametri accordati finemente, che mal sopportano interpretazioni e conclusioni affrettate.

La vicenda dei neutrini superveloci insegna.