Sarà la iodioprofilassi il tema al centro delle manifestazioni della settimana mondiale della tiroide, indetta anche quest’anno e in programma fra un mese, dal 18 al 25 maggio, con una serie di iniziative dedicate a sottolineare importanza della prevenzione e, in particolare, la corretta nutrizione in termini di iodio, soprattutto, ma non solo, nelle donne in gravidanza.



Abbiamo facilmente un’idea della più nota delle malattie della tiroide, l’ipertiroidismo, dovuto all’eccesso di ormoni tiroidei, e che provoca una serie di conseguenze quali perdita di massa muscolare e dimagrimento, stanchezza, insonnia, nervosismo, ansia, tachicardia, tremore alle dita; può anche essere accompagnato da un aumento di volume della tiroide (gozzo) e da una protrusione caratteristica dei globi oculari.



Meno noto è l’ipotiroidismo, anche se è una delle malattie endocrine più diffuse, troppo spesso non diagnosticate e che determina un gran numero di disturbi. Colpisce prevalentemente il sesso femminile con una più alta frequenza nella menopausa e in post menopausa ma si può manifestare fin dall’età pediatrica, nell’adolescenza e nell’età adulta. È stata chiamata “la malattia insospettabile”: un appellativo dipende dalla aspecificità dei sintomi riconducibili anche a tante altre patologie. La causa dell’ipotiroidismo è una ridotta produzione di ormoni tiroidei oppure la loro mancata utilizzazione.



Poi ci sono una serie di altre patologie che coinvolgono la tiroide. Nell’area dell’ipertiroidismo c’è il morbo di Basedow, che presenta sintomi simili e dipende da cause autoimmuni (ovvero anticorpi che vengono rivolti contro normali costituenti dell’organismo). Ci sono le tiroiditi: in forma acuta (suppurative), subacuta (tiroidite di De Quervain), cronica (tiroidite di Riedel) e autoimmune (Tiroidite di Hashimoto). E naturalmente, purtroppo, i tumori.

Ma qual è la loro incidenza sulla popolazione e quanto sono conosciute queste varie patologie? Una recente indagine Doxa – condotta su un campione rappresentativo della popolazione italiana di età superiore a 15 anni e promossa da IBSA Farmaceutici – consente di fare alcune valutazioni. Anzitutto un dato poco rassicurante sulla loro conoscenza: appena un italiano su cinque le conosce in modo soddisfacente. Poi i dati sulla diffusione. L’ipotiroidismo da solo, la patologia tiroidea più diffusa, riguarda il 5% della popolazione italiana, un dato analogo, ad esempio, a una malattia come il diabete (4,9% gli Italiani che ne soffrono, secondo l’Istat) giustamente oggetto di una grande attenzione sociale. Stiamo, infatti, parlando di oltre 2,5 milioni di persone.

Tra gli intervistati da Doxa che affermano di conoscere le malattie della tiroide, spesso (51%) è ancora presente un’immagine da vecchie tavole anatomiche, con gozzi enormi che non si vedono più e occhi sporgenti (37%), simili alle immagini cinematografiche di Marty Feldman. Queste immagini allontanano dal riconoscimento della reale importanza delle malattie della tiroide. Infatti, l’ipotiroidismo è ritenuto una malattia seria e limitante solo dal 7% degli italiani mentre in realtà un paziente su tre dichiara di soffrire di importanti disagi fisici.

Una malattia apparentemente facile da riconoscere (secondo il 46% degli intervistati) viene in realtà diagnosticata nella maggior parte dei casi molto tempo dopo l’inizio dei primi sintomi, giustificando quell’appellativo di “insospettabile”, proprio perché si pensa all’ipotiroidismo solo dopo aver escluso tutte le altre possibili malattie. Anche i dati sulla prevenzione inducono a riflettere, con il 70% degli italiani che dichiara di non aver mai fatto un controllo della funzionalità tiroidea.

Forse anche qualche informazione di base in più non farebbe male. Sapere ad esempio che la tiroide è una ghiandola endocrina posta in prossimità della laringe e della trachea che produce due tipi di ormoni che regolano il metabolismo basale e attivano la formazione e la crescita delle componenti cellulari. Le funzioni degli ormoni tiroidei regolano un ampio numero di processi metabolici e hanno un’importante influenza sulla funzione di numerosi apparati: sul cervello e sulla crescita, sul metabolismo e sul tessuto adiposo, sul sistema cardiovascolare, sull’apparato riproduttivo, sul sistema respiratorio, sul midollo osseo.

Valutare la funzionalità tiroidea è piuttosto facile, attraverso esami di laboratorio che identifichino il dosaggio degli ormoni. Quanto ai sintomi, nel caso dell’ipotiroidismo bisogna dire che sono associati in modo caratteristico a un rallentamento generalizzato delle funzioni corporee. Si osserva un rallentamento dell’attività fisica e di quella mentale, della funzione cardiovascolare, di quella gastrointestinale e di quella neuromuscolare. I sintomi tendono ad apparire gradualmente, nell’arco di un lungo periodo di tempo e spesso sono sintomi sfumati.

Quel che più conta sono allora le prospettive di cura. Una cura per l’ipotiroidismo consolidata ormai da quasi 60 anni – il suo primo impiego risale al 1953 – si basa sull’assunzione di levotiroxina, oggi prodotta per sintesi. È una terapia a base di ormoni tiroidei e si tratta di un trattamento integrativo: il paziente assume quella quantità di ormone che il suo organismo non è in grado di produrre autonomamente. Generalmente si inizia con una piccola dose che viene in seguito gradualmente aumentata fino al raggiungimento della dose appropriata. Stabilita la dose ottimale è indispensabile controllare la funzionalità tiroidea periodicamente per valutare la costante adeguatezza della terapia. Un’assunzione appropriata di levotiroxina è praticamente priva di effetti collaterali e la maggior parte delle persone in terapia è in grado di condurre una vita del tutto normale.

 

(Michele Orioli)