Che il regno vegetale sia di importanza fondamentale non solo per l’agricoltura ma anche per la produzione di carta, legno, fibre tessili, composti chimici, energia verde, farmaci è evidente, anche se forse non sempre portato a piena consapevolezza. Infatti, malgrado alcuni temi come lo sviluppo sostenibile o gli OGM siano sulla bocca di tutti, le informazioni che vengono veicolate dai mass media sono spesso approssimative o, peggio ancora, di parte. Ecco allora l’importanza di un’iniziativa come quella che si tiene oggi in quasi quaranta Paesi nel Mondo dove si celebra il “Fascination of plants day”, la “Giornata Internazionale del Fascino delle Piante”, un evento di enorme portata realizzato sotto il coordinamento dell’Organizzazione Europea delle Scienze delle Piante (EPSO). L’iniziativa, già illustrata in queste pagine, si prefigge di svolgere una preziosa funzione di “ponte” fra il mondo della ricerca e la società, allo scopo di fornire al grande pubblico conoscenze basilari e informazioni scientificamente corrette per un dibattito consapevole.



Come quello che si è svolto a Milano all’evento di presentazione della Giornata, promosso dal Cnr su “L’agricoltura del futuro e il ruolo degli OGM” nel quale si sono confrontati Manuela Giovannetti, Preside della Facoltà di Agraria dell’Università di Pisa, e Michele Morgante, Ordinario di Genetica presso l’Università di Udine. Vale la pena riprendere i punti salienti del confronto.



Iniziamo con questo dato: secondo un rapporto della FAO, una delle principali sfide che il settore agricolo a livello mondiale dovrà affrontare nei prossimi decenni sarà il dover produrre il 70% di cibo in più per sostentare altri 2,3 miliardi di persone che si aggiungeranno da qui al 2050 ai 7 miliardi attuali. Il problema é che già ora l’attuale sistema agricolo non é affatto sostenibile. Il cibo prodotto non é sufficiente per tutti e non é equamente ripartito (nei Paesi ricchi gli sprechi raggiungono il 30%), mentre i danni arrecati all’ambiente sono molti e appaiono ogni anno sempre più gravi. 



La situazione è quindi destinata a peggiorare rapidamente, a meno che non si proceda subito ad un drastico cambiamento di tendenza con una seconda “Rivoluzione Verde”. Una prima Rivoluzione Verde si è già verificata, e in circa cinquant’anni la produzione agricola ha registrato un significativo incremento. Questo é stato possibile grazie all’introduzione di varietà vegetali ibride (ottenute incrociando fra loro varietà preesistenti) e all’uso massiccio di fertilizzanti chimici. Un ruolo determinante é stato svolto anche dal miglioramento dei sistemi di irrigazione, dall’automatizzazione di gran parte del processo agricolo e dall’utilizzo di prodotti fitosanitari (erbicidi, insetticidi, fungicidi). La maggiore produttività ha tuttavia portato con sé tutta una serie di problemi collaterali che si sono aggravati nel tempo. Oltre a comportare un elevato livello di inquinamento delle acque, l’agricoltura intensiva e la pratica della monocultura hanno determinato infatti una progressiva erosione ed impoverimento del suolo, inibendo lo sviluppo adeguato dei microrganismi benefici. Il risultato è una crescente dipendenza delle piante dalle immissioni chimiche, in un circolo vizioso che porta a un progressivo degrado ambientale.

Tuttavia non sembrano esserci alternative: la produzione agricola deve aumentare, deve farlo in fretta e soprattutto in modo sostenibile per evitare che gli ecosistemi collassino.

Gli studi in campo botanico si stanno muovendo in questa direzione, alla ricerca di piante più resistenti alle malattie e alle avversità ambientali (freddo e siccità), più nutrienti, che richiedano meno fertilizzanti e meno acqua. Un esempio sono le ricerche condotte per identificare all’interno di una specie le varietà che sono per natura resistenti alle malattie o ai parassiti. Oppure gli studi condotti su specie che sono bio-accumulatrici naturali di alcuni metalli pesanti (come il girasole e l’erba storna alpestre), che potrebbero essere pertanto usate per bonificare suoli inquinati.

Parallelamente anche l’ingegneria genetica sembra fornirci soluzioni interessanti. Purtroppo é opinione diffusa che tutto ciò che è naturale sia buono e che, per contro, gli alimenti artificiali, cioè creati o modificati dall’uomo, siano tutti altamente nocivi. Innanzitutto occorre precisare che le piante transgeniche (ossia le specie vegetali nelle quali sono stati inseriti dei geni provenienti da altre specie) presenti sul mercato sono davvero poche. Appena quattro in effetti: la colza, il cotone, la soia, il mais. Inoltre solo due di queste sono usate a scopo alimentare, essendo la colza usata per la produzione di oli combustibili e il cotone nell’industria tessile. Per quanto poi riguarda la soia e il mais, gran parte della produzione non finisce direttamente sulle nostre tavole ma nei mangimi animali. Gli OGM di cui si sente tanto parlare sono invece prevalentemente organismi nei quali uno o più geni sono stati rimossi o silenziati, oppure organismi nei quali sono stati aggiunti geni provenienti da altri individui della loro medesima specie. Niente a che vedere dunque con gli inquietanti (e soprattutto leggendari) “cibi Frankenstein” ,per metà piante e per metà animali. 

Questo chiaramente non significa che tutto ciò che viene prodotto dall’ingegneria genetica sia un successo. La scienza nel suo progredire sperimenta vie sempre nuove, ma nel percorrerle é più che normale che commetta qualche errore. Tuttavia questi “errori genetici” il più delle volte non sopravvivono, nemmeno in condizioni controllate all’interno dei laboratori. 

Il punto (di cui si parla troppo poco) é un altro: anche qualora l’esperimento sia completamente riuscito in laboratorio, il prodotto non viene introdotto sul mercato se non dopo aver superato molti altri test “sul campo”. Tale sperimentazione é vincolata da normative ben precise, volte ad evitare la contaminazione dell’ambiente circostante da parte delle piante OGM. Purtroppo nel nostro Paese i campi coltivati messi a disposizione della ricerca sono troppo pochi, disincentivando di riflesso anche lo studio in laboratorio.

In conclusione la ricerca si conferma essere ancora una volta la via maestra per uscire da questa situazione di crisi. Le piante sono una vera miniera di risorse, dobbiamo solo imparare a conoscerle e sfruttarle in maniera adeguata.