Che le nanotecnologie e le nanoscienze stiano trovando applicazioni in campi sempre più vasti lo abbiamo capito. Forse però non avevamo ancora pensato a un loro possibile impiego per completare l’identikit di un uomo vissuto 5000 anni fa. Ora invece anche questo diventa possibile. L’uomo, manco a dirlo, è sempre lui, Ötzi: l’altoatesino preistorico più famoso e ormai entrato anche con la sua personalità nel nostro immaginario grazie anche alle pregevoli ricostruzioni disponibili presso il Museo Archeologico dell’Alto Adige di Bolzano.



Chi visita il Museo non può non restare colpito dalle particolari condizioni di conservazione, che hanno permesso di farsi un’idea delle sue condizioni fisiche e di ricostruire il suo abbigliamento e il suo equipaggiamento per dedurne le abitudini e quello che oggi si chiamerebbe lo “stile di vita”. Si può intuire che era in grado di trattenersi lontano dal suo accampamento per diverso tempo e procurarsi il necessario per vivere e anche costruirsi o riparare oggetti con gli strumenti che aveva sempre con sé.



Di Ötzi ormai si sanno molte cose, anche se sulle circostanze della sua morte prematura c’è ancora un vivace dibattito tra gli studiosi. Proprio con lui la ricerca preistorica ha tagliato importanti traguardi, mettendo a punto tecniche e metodiche che diventano punti di riferimento per le ricerche nel settore. È stato, ad esempio, decifrato il suo DNA, grazie a sofisticate tecnologie bio-informatiche che hanno ricavato informazioni da un materiale minimo e frammentato. Dagli esami endoscopici del contenuto del suo intestino si sono ricavate indicazioni sull’ultimo pasto di Ötzi: una pappa di farro, carne e verdure; i cereali potrebbero anche essere stati consumati sotto forma di pane.



Tuttavia, finora, i ricercatori non erano riusciti a individuare alcun residuo di sangue dell’uomo venuto dal ghiaccio. Si era tentato di ricavare qualche indizio dalle analisi dell’aorta, ma tali esami non avevano portato ad alcun risultato. Ora un team di ricerca italo-tedesco, composto da ricercatori dell’Accademia Europea di Bolzano (EURAC) di Bolzano e della Technische Universität di Darmstadt, ha rivelato la presenza di globuli rossi sulle ferite di Ötzi. Si tratta del campione di sangue più antico a disposizione della ricerca.

«Finora non sapevamo quanto a lungo si potesse conservare il sangue, né tantomeno come si presentavano i globuli rossi dell’uomo durante l’età del rame», spiega Albert Zink, direttore dell’Istituto per le Mummie e l’Iceman dell’EURAC. Il centro altoatesino è stato il punto di partenza delle indagini, condotte insieme a Marek Janko e Robert Stark, entrambi ricercatori di scienze dei materiali al Center of Smart Interfaces della Technische Universität di Darmstadt, in Germania. I risultati della ricerca sono stati da poco pubblicati sulla rivista Journal of the Royal Society Interface.

Anche nella moderna medicina legale non è ancora completamente chiaro come definire con precisione l’età di una traccia di sangue trovata sulla scena del crimine. Le nanotecnologie – grazie alle quali Zink, Jarko e Stark hanno analizzato la microstruttura delle cellule sanguigne e dei più piccoli coaguli di sangue – possono portare, secondo i ricercatori, a una svolta.

Il team ha esaminato con un microscopio a forza atomica dei sottili campioni di tessuto prelevati dalla ferita sulla schiena di Ötzi causata da una freccia e da una ferita da taglio sulla mano destra. L’apparecchio analizza i campioni tramite una punta sottile che percorre minuziosamente le superfici di tessuto e, per mezzo di sensori, ne registra punto per punto la forma. Questa operazione consente di ottenere un modello digitale tridimensionale del tessuto. Sulle superfici è stata così scoperta la presenza di globuli rossi con la loro classica forma “a ciambella”. La stessa struttura che ritroviamo oggi negli individui sani.

«Per essere certi al cento per cento che si trattasse di vere e proprie cellule del sangue e non di polline, batteri o di un’impronta lasciata da una cellula ormai scomparsa, abbiamo adoperato un secondo metodo di analisi: la cosiddetta spettroscopia Raman», spiegano Marek Janko e Robert Stark, membri insieme a Zink del Center for Nanosciences di Monaco. La spettroscopia Raman illumina i campioni di tessuto con una luce intensa, grazie alla quale si riescono a identificare le diverse molecole per mezzo di uno spettro di dispersione della luce. Questo metodo ha confermato che i globuli rossi di Ötzi hanno lo stesso aspetto dei campioni moderni di sangue umano.

Oltre ai globuli rossi, l’analisi ha rivelato tracce di fibrina, una proteina che regola la coagulazione del sangue. Questo è un elemento importante per arricchire quello che sembra lo scenario più verosimile della morte dell’Iceman. Zink infatti spiega che la fibrina emerge nelle ferite fresche e successivamente tende a diminuire; ciò è coerente con la tesi secondo la quale Ötzi sarebbe morto subito dopo esser stato ferito dalla freccia e non nei giorni successivi come era stato ipotizzato inizialmente.

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(Michele Orioli)

 

 

1. Immagine tridimensionale al microscopio a forza atomica di un globulo rosso rinvenuto sulla ferita sulla schiena di Ötzi. Nel riquadro a destra la rispettiva mappatura a scala di colori.

 

2. Immagine AFM (microscopio a forza atomica) di un globulo rosso dalla ferita sulla schiena.

 

3. Immagine AFM tridimensionale e scansione spettroscopica di un coagulo di sangue rinvenuto nella ferita sulla schiena.