Passeggiare nei corridoi di Brera, accanto a studenti che si appuntano le date dell’esame di restauro, è una forma di bellezza. Svoltare l’angolo e trovarsi nel verde dell’Orto Botanico di Brera, è un’altra forma di bellezza.

«Esistono diversi tipi di bellezza», ha esordito Claudio Longo, dopo una breve presentazione, quasi leggendomi nel pensiero. Docente di botanica presso l’Università Statale di Milano, ora in pensione, e responsabile per molti anni dell’Orto botanico di Brera, Longo ha incantato il pubblico con una conferenza sulla “Bellezza della Natura”, in occasione del “Fascination of Plants Day 2012”. Scopo di questa “Giornata” era affascinare con le piante il maggior numero possibile di persone in tutto il mondo ed entusiasmarle sull’importanza delle scienze vegetali per l’agricoltura, la produzione sostenibile di cibo e la tutela ambientale.



Affascinare: una dote innata di Claudio Longo.

Ho avuto la fortuna di avere il maestro Longo come docente alla facoltà di Scienze Naturali e di studiare il suo libro Biologia delle piante, forme e funzioni, fra le cui pagine è racchiuso un bel pensiero: «Probabilmente non pensiamo mai che a ogni respiro riceviamo dalla piante l’ossigeno che il sangue trasporta a tutte le nostre cellule, non pensiamo che l’energia che ci mantiene in vita è un dono delle piante. E non pensiamo neppure che durante la respirazione avviene uno scambio tra noi e le piante: a ogni inspirazione carichiamo il nostro sangue di ossigeno prendendolo dall’aria e a ogni espirazione liberiamo nell’aria l’anidride carbonica che deriva dalla demolizione delle molecole organiche e che le piante riutilizzano durante la fotosintesi».



Un altrettanto bel pensiero è stato quello con cui ha aperto la conferenza lo scorso 18 maggio. «La bellezza è un valore. Ci sono diversi tipi di Bellezza, alcune sono turistiche e vendibili, altre non lo sono» afferma Longo, citando il ghiacciaio Perito Moreno in Argentina. «Le bellezze non vendibili, né turistiche, non hanno alcun bisogno di essere aiutate, si aiutano da sole». dice, prendendo ad esempio il Taraxacum officinale, noto come “tarassaco comune”, “soffione”, “insalata matta” e “dente di leone”. «È un’erbaccia che cresce selvatica, abusiva. Bellissima». A questo punto è chiaro a tutti i presenti in sala che la bellezza della natura si manifesta in diversi ordini di grandezza, dall’immenso ghiacciaio argentino, al più piccolo soffione.



Dopo pochi minuti, la conferenza si è spostata dall’interno della piccola aula dell’Orto Botanico, all’esterno, nel verde dell’Orto stesso. «Se fossimo in una sala con poltrone polverose, vi terrei qui dentro, ma fuori c’è un bellissimo giardino e vi porto fuori». E così Longo ha invitato i partecipanti a osservare da vicino la natura. «Lo sguardo riesce a vedere, ma riuscire a fermare lo sguardo è tutt’altra cosa. Lo sguardo che va è diverso dallo sguardo che si ferma un istante. Solo quando fermi lo sguardo, solo in quel momento riesci a vedere».

Una lezione botanica che ha spaziato dal piccolo fiore al più grande albero presente nell’Orto. «Guardate questo» ha detto prendendo in mano un fiore viola e secco appartenente al genere Aquilegia. «È secco, ma non banale. Esprime maturazione, vecchiaia. Il fiore diventa brutto affinché il seme possa maturare. Pensate alla bellezza dei fiori appassiti nell’arte!» I partecipanti hanno avuto modo di osservare la forma e i colori di piante come la Sanguisorba, Aquilegia, Aristolochia e fiori borragine. «Spesso per prima cosa le persone mi chiedono il nome di una pianta. Voi volete il nome perché volete qualcosa da possedere». E mentre mi appuntavo queste parole, mi venivano in mente quelle di Pirandello “Non è altro che questo: epigrafe funeraria, un nome. Conviene a chi ha concluso. La vita non conclude. E non sa di nomi la vita. Quest’albero, respiro trèmulo di foglie nuove. Sono quest’albero. Albero, nuvola; domani libro o vento”.

Il professor Longo è indubbiamente un uomo in grado di trasmettere passione. Dopo aver osservato la bellezza racchiusa nella piccola dimensione dei fiori, siamo stati invitati a osservare la grande dimensione: gli alberi. Tre hanno attirato la nostra attenzione: accanto alle vecchie serre dell’Orto, ora trasformate in aule d’incisione dell’Accademia, abbiamo ammirato la Noce del Caucaso, (Pterocarya fraxinifolia) nel cui tronco sembrava d’intravedere le pieghe della veste dell’Athena di Breno.

Poco distante era possibile osservare le piante più vecchie presenti: due grandi esemplare di Gynko biloba, un maschio e una femmina, portati dalla Cina nel 1771, un anno dopo la fondazione dell’Orto. Alla fine del Settecento era un albero molto apprezzato per la bellezza delle sue foglie e per i significati simbolici nelle filosofie orientali. Attualmente Gynko biloba è molto diffuso in giardini e alberature stradali. Oggetto di vivo interesse a seguito della scoperta di virtù curative antiossidanti, è anche considerato un albero particolare dal punto di vista scientifico. I botanici tradizionalmente lo includono nelle Gimnosperme, gruppo di piante vascolari che comprende tutte le conifere, ma da esse si distingue per le foglie larghe, anziché aghiformi.

«Sicuramente Parini ha visto questi alberi. E probabilmente anche Mozart», conclude Longo, con un sorriso. Se lo scopo del “Fascination of Plants Day” era quello di affascinare, raccontando la bellezza della natura, il p rofessor Longo non solo è riuscito nell’obiettivo, ma è stato anche e indubbiamente magistrale.