Fin dall’antichità, le “finestre” dalle quali gli uomini hanno osservato lo spettacolo del cielo stellato sono stati gli occhi e l’informazione che entrava da queste finestre era limitata a una gamma molto ristretta di luce: quella visibile, ovvero quella delle onde elettromagnetiche di lunghezza compresa tra 380 e 780 miliardesimi di metro (che corrispondono a frequenze tra i 789 e i 400 milioni di MegaHertz). Una finestra molto piccola, che tuttavia ha permesso di leggere i tanti segni che appaiono nel cielo, di sollevare domande che hanno toccato tutti gli ambiti dell’esperienza umana – dalla scienza, alla poesie, alla religione – e di iniziare a delineare qualche risposta.



A un certo punto, circa 400 anni fa, queste speciali e personalissime “antenne” sono state potenziati dall’invenzione del cannocchiale e per tre secoli i miglioramenti di questo strumento hanno aumentato enormemente le possibilità osservative, permettendo agli astronomi di scoprire nuovi oggetti celesti e di aprire innumerevoli altre domande. Ma la svolta più radicale è avvenuta circa un secolo fa, quando si è capito che i corpi dell’universo emettono non solo luce visibile ma onde elettromagnetiche a tutte le frequenze dello spettro: dalle lunghissime radioonde ai cortissimi raggi gamma, passando per microonde, infrarossi, ultravioletti e raggi X.



La realizzazione di strumenti come i radiotelescopi, in grado di captare queste frequenze, ha spalancato di colpo non una ma tante finestre e ha moltiplicato a dismisura le nostre possibilità di osservazione. È un ampliamento che continua tuttora e proprio in questo periodo una nuova finestra si è aperta, con un primo risultato arrivato sulle pagine della rivista Astronomy&Astrophysics: sono le immagini raccolte da LOFAR (LOw Frequency ARray), il più grande e complesso radiotelescopio finora realizzato. Si è trattato di una sorpresa per gli astrofisici dell’Istituto di ricerca olandese Astron e della Leiden University, e per tutti i gruppi che vi lavorano nei 26 istituti mondiali, tra i quali l’italiano INAF (Istituto Nazionale di AstroFisica): sorpresa per il modo nel quale è emerso il risultato.



Il LOFAR infatti non è ancora pienamente operativo e le osservazioni sono derivate da una serie di misure e attività di collaudo. Il LOFAR è formato da un’enorme ragnatela composta da circa 20.000 antenne raggruppate in stazioni, circa 30-40, distribuite nel nord Europa e collegate tra loro da una rete informatica di fibre ottiche superveloci; nell’insieme viene simulata una grandissima rete di rivelazione dei segnali utili per l’osservazione astronomica da 15 a 200 MHz.

 

Come tutti i grandi progetti complessi, anche LOFAR prima di entrare in funzione necessita di una lunga e meticolosa attività di messa a punto (il cosiddetto commissioning) per controllare il funzionamento dei singoli apparati e l’integrazione coordinata e armonica di tutto il sistema. Ebbene, è stato in questa fase preparatoria che è apparsa l’immagine (elettronica) delle emissioni radio da un ammasso di galassie, già noto ma ora captato a frequenze mai raggiunte finora. Si tratta dell’ammasso denominato Abell 2256, un raggruppamento di centinaia di galassie distante circa 800 milioni di anni luce da noi.

 

Anche qui è doverosa una precisazione che ci aiuta a comprendere meglio lo scenario nel quale si svolgono le indagini astrofisiche e cosmologiche attuali. Ci è ormai abbastanza familiare un’immagine dell’universo composta di pianeti, stelle, nebulose e galassie: non a tutti però è noto che, sia le stelle al loro livello, sia le galassie su scala più grande, non vivono isolate ma tendono per la maggior parte a raggrupparsi. Abbiamo così vari tipi di ammassi stellari e, sulle grandi distanze, giganteschi ammassi di galassie; in alcuni casi anche dei super ammassi. Parliamo di numeri “astronomici”, dove centinaia di miliardi di stelle si uniscono in una galassia e questa si accompagna ad altre galassie, in un ammasso che può contenerne anche migliaia.

La rete di radiotelescopi LOFAR permetterà di captare le emissioni in bassa frequenza di “oggetti” di questo tipo, fornendo gli elementi per rispondere ai tanti interrogativi sull’origine di tali emissioni e quindi sulla storia dell’ammasso e sulla dinamica della sua formazione ed evoluzione. In Abell, ad esempio, i segnali catturati a frequenze senza precedenti di 60 MHz, hanno rivelato emissioni molto più intense di quanto i modelli teorici, e le osservazioni precedenti con altre apparecchiature, facessero prevedere.

 

Verso la fine di quest’anno inizieranno le osservazioni sistematiche e, se queste sono le premesse, è lecito attendersi sorprese. Nel frattempo, gli astrofisici italiani cercheranno di ottenere l’installazione di una stazione LOFAR anche nel nostro territorio. Tutto ciò mentre si stanno scaldando i motori per la realizzazione del radiotelescopio SKA, lo Square Kilometre Array, un ambizioso progetto radioastronomico internazionale (1.500 milioni di euro di costi previsti), che proprio in questi giorni ha definito le location definitive: sarà una rete di antenne per radioastronomia, con un chilometro quadrato di area di raccolta e un’estensione di alcune migliaia di km che si dispiegherà su due continenti: in Australia e in Sud Africa.

 

Tecnologie innovative per ricevitori, trasporto ed elaborazione del segnale e calcolo consentiranno di operare su un grande intervallo di frequenze con un miglioramento di 50 volte in sensibilità e di oltre 100 volte in velocità di osservazione del cielo, rispetto agli strumenti attuali. Si può dire che l’avventura della radioastronomia è appena cominciata.