Le nuove scosse di terremoto in Emilia hanno messo ancor più in evidenza, e in modo tragico, una situazione che era ben nota e facilmente documentabile. È l’abbinarsi nel nostro Paese di due fattori macroscopici: da un lato la presenza diffusa di uno smisurato patrimonio di edifici storici e monumentali, dalle grandi opere più famose fino all’umile chiesa del piccolo paese; dall’altro la condizione di pericolosità sismica che, ormai abbiamo visto, non risparmia quasi nessuna regione. L’insieme di questi due fattori porta a situazioni come quelle di ieri, dove antiche chiese e palazzi storici si sono sgretolati sotto i colpi impietosi del sisma.
Eppure da tempo c’è chi studia le modalità più adeguate per conoscere e valutare lo stato di pericolo che incombe su questo patrimonio e ci sono stati e ci sono progetti e ricerche orientati a una stima di quella che si definisce la “vulnerabilità” sismica del nostro patrimonio edilizio. Come il progetto SAVE, condotto nell’ambito delGruppo nazionale per la difesa dai terremoti (GNDT) dell’Istituto Nazionale di geofisica e Vulcanologia (INGV) che aveva portato alla messa a punto di Strumenti Aggiornati per la Vulnerabilità sismica del patrimonio Edilizio e dei sistemi urbani.
Secondo gli autori di questi studi, la vulnerabilità degli edifici storici può essere ricondotta a tre componenti: «la qualità della muratura; la forma e le dimensioni degli elementi architettonici; la presenza di presidi antisismici. Gli edifici di minore importanza presenti nei centri storici, sono spesso molto vulnerabili, per la scadente qualità muraria, per uno stato di manutenzione assolutamente deficitario e per le successive trasformazioni che può avere subito (intasamenti, sopraelevazioni, demolizioni parziali)». Gli edifici monumentali sono ugualmente vulnerabili, anche se per differenti motivazioni. Sebbene siano realizzati in media con materiali di pregio, le loro dimensioni sono considerevoli: aule e volte sottili di grande luce, muri snelli con aperture imponenti.
Gli autori di questi studi hanno fatto anche notare che, nonostante le differenze costruttive che caratterizzano gli edifici storici (stili architettonici, materiali, maestranze), «il terremoto rappresenta la principale causa di danno e di perdita del patrimonio culturale». Tutte le costruzioni storiche in muratura, compresi i monumenti più famosi, sono stati realizzati in funzione di “regole dell’arte”, basate sull’esperienza acquisita nella realizzazione di strutture analoghe. Il terremoto è un’azione non frequente e l’esperienza dei costruttori varia in funzione dell’area geografica e dal tempo. Nelle zone caratterizzate da un’elevata sismicità, dove il terremoto è più frequente, negli edifici sono presenti particolari costruttivi o presidi antisismici capaci di contrastare l’attivazione e l’evoluzione di un meccanismo di danno. In aree di moderata sismicità, gli stessi presidi antisismici possono essere individuati unicamente in quegli edifici realizzati immediatamente dopo un evento catastrofico; tuttavia la non comprensione della loro importanza strutturale determina la scomparsa dalla modalità costruttiva locale dopo due o tre generazioni.
Possiamo definire, come hanno fatto Massimo Compagnoni e colleghi in un saggio su Earth-Prints dell’INGV nel 2007, la vulnerabilità di un edificio monumentale come «la sua predisposizione ad essere danneggiato da un evento sismico di una predefinita severità» e quindi rappresentarla con un modello «in grado di fornire un danno fisico (in termini probabilistici), tramite una funzione dell’intensità o dell’accelerazione di picco (PGA)». La possibilità di utilizzare per la pericolosità sismica questi due parametri differenti (intensità o PGA), determina la realizzazione di scenari di danno basati su un approccio macrosismico o su un modello meccanico.
«Nel primo caso è prevista una valutazione della pericolosità sismica attraverso l’intensità macrosismica, la quale, pur essendo una misura ibrida dell’input sismico che dipende indirettamente dalla vulnerabilità degli edifici, risulta particolarmente utile quando la pericolosità è dedotta dalla sismicità storica dell’area considerata. Un modello a base meccanica utilizza invece valori di PGA e lo spettro di risposta. In questo caso gli effetti di amplificazione locale possono essere direttamente considerati, sia attraverso un incremento della PGA di riferimento sia attraverso la modifica della forma spettrale».
Nel caso di un approccio macrosismico, lo scenario è definito attraverso l’utilizzo di curve di vulnerabilità, che correlano l’intensità al livello di danno medio atteso, definito in termini probabilistici. Il metodo si basa sulla vulnerabilità osservata, poiché queste curve sono ottenute in funzione dei dati raccolti durante i censimenti del danno post-sisma, per aree con differenti intensità macrosismiche. Gli studiosi Lagomarsino e Podestà hanno addirittura elaborato una funzione matematica che, sulla base delle analisi statistiche dei danni rilevati, descrive le curve di vulnerabilità per le chiese.
Nell’altro caso, con l’approccio a base meccanica, c’è la difficoltà di modellare le strutture storiche in muratura: vengono utilizzate procedure semplificate, in cui il sistema sismico resistente è descritto attraverso curve di capacità che devono essere validate sulla base della vulnerabilità osservata. Associando ad ogni punto della curva di capacità uno specifico stato di danno dell’intero sistema, è possibile ottenere una valutazione del grado di funzionalità atteso per la struttura a seguito dell’evento sismico analizzato.
I due approcci (macrosismico e meccanico), secondo gli autori, non rappresentano procedure legate a livelli diversi di accuratezza, ma solo metodologie differenti, i cui risultati sono tra loro paragonabili. «In un’analisi di rischio del patrimonio culturale, è possibile utilizzare, senza alcuna differenza, il metodo più adeguato in funzione delle caratteristiche di pericolosità sismica, ottenendo uno scenario di danno che di conseguenza potrà essere più o meno accurato a secondo del livello di approfondimento adottato».
Il terremoto del Molise del 2002 aveva permesso di verificare come i due approcci siano idonei a definire uno scenario di danno che tenga in considerazione gli effetti di amplificazione sismica dovuti alla morfologia del sito considerato. Il rilievo del danno e della vulnerabilità delle chiese effettuato nella fase post-evento aveva evidenziato come in alcuni casi il livello di danneggiamento osservato non poteva essere unicamente ricondotto alle carenze costruttive degli edifici. In alcuni casi, la particolare localizzazione topografica dei manufatti ha influenzato la risposta sismica e il livello di danneggiamento, provocando degli effetti di amplificazione.
Una prima amara considerazione, a questo punto, è che gli strumenti per l’analisi di vulnerabilità sismica degli edifici monumentali in una grande città o in una regione ci sono: dovrebbe (avrebbe dovuto) essere quindi possibile individuare una lista di priorità; predisporre piani di interventi preventivi per la mitigazione del rischio; definire procedure idonee alla gestione dell’emergenza sismica.
(Michele Orioli)