Nei boschi del Trentino si sta ricostruendo la più lunga serie dendrocronologica nazionale. A realizzarla sono i ricercatori dell’Istituto per la valorizzazione del legno e delle specie arboree del Cnr (Ivalsa) e questo strano termine, dendrocronologia, indica la disciplina che studia le variazioni annuali degli anelli di accrescimento degli alberi. È stato l’eccezionale ritrovamento, al Passo del Tonale, di un tronco di abete rosso (Picea abies) risalente a circa 4.600 anni a. C. a indirizzare gli scienziati verso la creazione di lunghe serie dendrocronologiche, che saranno valide per tutte le specie arboree presenti a Sud delle Alpi.



I legni antichi costituiscono un prezioso archivio naturale di informazioni sull’ambiente naturale e antropologico e la loro analisi scientifica interessa discipline come l’ecologia, la geomorfologia, la climatologia, l’archeologia e la tecnologia del legno. Il campionamento dei ricercatori prende in considerazione diversi contesti: alberi in piedi, tronchi abbattuti, torbiere in scavo e in superficie, edifici storici. Ne abbiamo parlato con Mauro Bernabei ricercatore presso l’Ivalsa-Cnr di San Michele all’Adige (TN) e responsabile del progetto.



Lei lavora in un istituto del CNR che si occupa della valorizzazione del legno e delle specie arboree: può descriverne la fisionomia e spiegare che tipo di lavoro vi si svolge?

L’Ivalsa è attivo nello studio degli alberi e del legno sotto un numero elevatissimo di aspetti. Non esistono ambiti di ricerca nel settore alberi/legno che non abbiano qui un ricercatore o un esperto cui fare riferimento. L’istituto è costituito da tre sedi: Firenze, Follonica (GR) e San Michele all’Adige (TN) e ha circa 70 dipendenti, con altrettanti ricercatori precari ma non per questo meno competenti. Le attività svolte sono numerose: legno in edilizia, usi energetici del legno (biomasse), fino alla chimica del legno e allo studio legno nel campo dei Beni Culturali. L’istituto offre, oltre a una buona produzione scientifica, un sicuro supporto tecnico alle ditte e alle industrie che operano nel settore.



Proprio a causa della vastità degli ambiti di ricerca ricoperti, l’Ivalsa costituisce un buon esempio di integrazione di competenze, anche a livello internazionale. Al suo interno lavorano ingegneri, dottori forestali, chimici (e diverse altre specializzazioni), molti dei quali hanno conseguito il dottorato di ricerca.

Il nuovo database dendrocronologico come si situa all’interno del normale lavoro dell’Istituto?

Il laboratorio di dendrocronologia del CNR, nato ufficialmente nel 2004 ma attivo già da tempo, si occupa da anni di analisi e datazioni dendrocronologiche. Tra i lavori realizzati merita essere ricordata la datazione del materiale ligneo proveniente dal Palazzo Reale di Napoli, dalla Basilica della Natività a Betlemme, la Cattedrale di Nicosia in Sicilia, lo studio degli strumenti musicali del Museo dell’Accademia a Firenze, oltre a importanti sculture, dipinti su tavola e altro ancora. Purtroppo finora le master (le lunghe serie che si usano come riferimento) pubblicate e valide per l’Italia, si fermano intorno all’anno 1000. Per il materiale più antico si ricorre al radiocarbonio, con perdita di precisione nella datazione, o a master realizzate al di là delle Alpi, la cui affidabilità nella datazione del nostro materiale è stata più volte messa in discussione. Il database che stiamo realizzando, che speriamo (ma ci sono buone possibilità) si estenda per circa 9000 anni a partire da oggi, consentirà di colmare questo gap.

Era una cosa già in qualche modo prevista, o rappresenta un progetto innovativo?

Più che prevista era una speranza. Tutto dipende dalla possibilità di recuperare materiale ligneo così antico e in buone condizioni. Finora si pensava che in Italia non esistesse. Le nostre ricerche hanno dimostrato il contrario, anzi, possiamo oggi dire che ne siamo ricchi!

Gli alberi sono sensibili all’ambiente che li circonda: è per questo che la dendrocronologia è una tecnica molto importante nella ricostruzione della storia naturale di una data località. Quanto indietro ci si può spingere in questo tipo di ricostruzione?

L’ultima glaciazione è terminata circa 10.000 anni fa. È probabile che questo sia il limite per le Alpi. Alcuni nostri campioni, preventivamente datati al C14, arrivano 8-9.000 anni indietro da oggi.

Come si svolge il lavoro?

Il materiale è raccolto in diversi contesti ambientali: piante in piedi, tronchi su ghiaioni, tronchi in torbiere, in alvei di montagna. Una porzione del tronco va portata in laboratorio, dove vengono fatte le prime analisi e viene identificata la specie legnosa tramite microscopio. Poi vengono misurati gli anelli e si testano le correlazioni con le serie di anelli ricavate su altro materiale. Se due o più serie mostrano affinità negli andamenti, conseguenza dell’effetto sincronizzante del clima, vuol dire che le serie sono coeve, almeno parzialmente. Si cominciano così a costruire delle cronologie medie sovrapponendo di volta in volta materiale sempre più antico. Mano a mano che le cronologie medie si arricchiscono di campioni, la media stessa diventa più affidabile ed è più facile incardinarvi altro materiale.

Che tipo di informazioni si riescono a ottenere, oltre a quelle sui cambiamenti climatici?

Una quantità enorme di informazioni, che interessano i movimenti dei ghiacciai, la geomorfologia, lo studio dell’ecologia delle specie (nel nostro caso essenzialmente abete rosso, larice e pino cembro), fino ad arrivare alla calibrazione della tecnica al radiocarbonio (pochi sanno che le datazioni al C14 sono calibrate proprio attraverso la dendrocronologia). Dal mio punto di vista, l’aspetto che reputo più interessante oltre alla ricostruzione climatica, è quello della datazione del materiale archeologico.

Su che cosa state focalizzando l’attenzione ora, e in quanto tempo pensate si potranno avere i primi risultati?

Abbiamo già ottenuto dei risultati che reputo assolutamente di tutto rilievo. Ad esempio, prima di questo progetto, che è portato avanti in collaborazione con il Servizio Foreste e Fauna della Provincia Autonoma di Trento, le cronologie disponibili per l’ abete rosso arrivavano al massimo a circa 600 anni. Oggi siamo già a 1860 anni di estensione a partire da oggi, arrivando a metà del II sec. d. C. Lo stesso vale per le altre specie, anche se per ora stiamo focalizzando l’attenzione sull’abete rosso.

Come si svolge la ricerca dendrocronologica sul campo?

Sul campo, ovvero per la raccolta del materiale di origine subfossile, occorre rispondere ad ogni situazione con soluzioni differenti. A fronte di contesti che possono essere risolti con i consueti carotaggi, abbiamo avuto situazioni in cui si è dovuto ricorrere a immersioni in alta quota, recuperando il materiale con verricelli.

Chi fa i lavori più innovativi in questo campo?

È difficile rispondere, perché la dendrocronologia si è subito divisa in molteplici sottodiscipline a seconda del campo di applicazione. Come accennato, le più importanti sono: la dendroecologia, la dendroclimatologia, la dendroprovenienza – che si occupa di stabilire la più probabile origine geografica dei legnami archeologici – la dendroglaciologia, la dendropirocronologia, la dendrochimica … Ogni ambito ha gruppi di ricerca molto forti: ad esempio gli americani sono molto avanti per le ricostruzioni climatiche e nello studio della dendropirocronologia (lo studio degli incendi attraverso gli anelli del legno). In Italia abbiamo ottimi gruppi per lo studio dell’ecologia.

Che cosa pensa dell’attuale rinnovarsi dell’attenzione nei riguardi del legno come materiale da costruzione?

È decisamente un settore che sta avendo un forte interesse generale. Basti dire che i nostri progetti più grandi a livello di istituto sono proprio in questo ambito.

Da ultimo: ritiene che le attività umane siano migliorate quanto alla difesa e al rispetto delle popolazioni vegetali?

Non credo di saper rispondere a questa domanda. Ad esempio, il Trentino è una delle regioni più avanti in fatto di certificazione ambientale. Alcune produzioni di legname della Val di Fiemme sono certificate ormai da tempo. Questa è forse la strada giusta da seguire, anche se è difficile immaginare di poter applicare le stesse norme al di fuori della nostra realtà. Mi riferisco ai paesi in via di sviluppo o a quelli, come la Cina, in grado di movimentare masse di legname enormi, provenienti da tutto il mondo, senza troppe premure riguardo al rispetto delle specie vegetali.

 

(a cura di Nicola Sabatini)