L’estinzione dei dinosauri non aviari, avvenuta intorno ai 65.5 milioni di anni fa, è uno degli enigmi più affascinanti della paleontologia. Tale drammatico avvenimento è da collocare in una più ampia cornice di estinzioni che coinvolse un gran numero di specie e che segnò il passaggio dall’Era mesozoica a quella cenozoica. Si stima che la perdita di biodiversità relativa al limite Cretaceo-Terziario ammonti a circa il 76% delle specie allora viventi.
Le ipotesi relative a questo evento sono tante, come tanti sono i ricercatori che se ne sono occupati. La teoria più accreditata collega tale estinzione di massa a un impatto meteorico. Numerosi indizi mostrano infatti come un asteroide di 10 km di diametro avrebbe colpito la penisola dello Yucatan intorno a 65 milioni di anni fa. Questo avvenimento, unitamente all’aumentata attività vulcanica del periodo in esame, avrebbe portato a una dispersione di pulviscolo in atmosfera tale da modificare le condizioni climatiche dell’intero pianeta.
L’interrogativo che ora sorge è se il declino dei dinosauri, riconosciuti come dominatori del mesozoico, fosse già in atto prima dell’impatto citato. Per far luce sulla questione sta lavorando un gruppo di ricercatori dell’American Museum of Natural History, della Columbia University, della Ludwig Maximilian University di Monaco e del Bavarian State Collection for Palaeontology; il team ha messo a punto un approccio innovativo allo studio della biodiversità all’interno del taxon (cioè dell’insieme di tipologie di animali genericamente indicati come “dinosauri”).
Mentre le precedenti indagini si basavano sulle fluttuazioni numeriche di specie relativamente al periodo considerato (prima cioè della grande estinzione), il nuovo metodo volge l’attenzione al livello di variabilità morfologica caratterizzante i principali gruppi di dinosauri allora presenti. Il semplice conteggio specifico può risultare fuorviante e può portare a una valutazione errata della realtà, poiché legato alle condizioni di campionamento e alle peculiarità geografiche delle diverse regioni indagate.
Sebbene questo taxon animale venga spesso considerato come un insieme pressoché omogeneo di forme di vita, la diversità di adattamenti che in esso si possono riscontrare è davvero notevole. Nel tardo Cretaceo erano presenti centinaia di specie viventi, differenziate enormemente per abitudini alimentari, morfologia e taglia. È proprio merito di questa variabilità se i dinosauri hanno potuto mantenere il loro dominio sulla Terra per ben 150 milioni di anni. A una maggiore diversità corrisponde infatti una maggiore capacità di adattarsi all’ambiente e di dare origine a nuove specie, mentre i gruppi più omogenei risultano essere più esposti al rischio di estinzione nel lungo periodo.
Appare a questo punto ovvia l’importanza che riveste la determinazione del grado di variabilità all’interno del taxon. Per monitorarla gli studiosi hanno preso in considerazione sette gruppi di dinosauri di particolare interesse. Per ognuno di questi è stato calcolato un indice di diversità morfologica basato su un’ampia gamma di caratteristiche della struttura scheletrica. Sono state esaminate quasi 150 diverse specie.
I risultati denotano per i piccoli erbivori (Anchilosauri e Pachicefalosauri), i carnivori (Tirannosauri e Coelurosauri) e i grandi erbivori con limitate capacità masticatorie (Sauropodi) un livello di variabilità pressoché stabile nel corso dei 12 milioni di anni precedenti l’estinzione mentre per Adrosauri e Ceratopsidi si rileva un calo di diversità. Riguardo gli Adrosauri la variabilità è legata alla zona geografica considerata. Questo gruppo infatti mostra in Nord America un calo di diversità morfologica mentre ha una tendenza opposta nella regione asiatica.
La ricerca effettuata ha dimostrato come il tardo Cretaceo non fosse un’epoca di fissità evolutiva, al contrario vi era un susseguirsi di specie e di adattamenti. Tale contesto ricco di sfaccettature presenta i grandi erbivori come gruppo sfavorito e indirizzato al declino di lungo termine, almeno per quanto riguarda l’America settentrionale.
È da evidenziare comunque come il Nord America presentasse due spiccate peculiarità quali l’orogenesi e la fluttuazione del mare interno occidentale, queste potrebbero aver condizionato l’evoluzione dei dinosauri in modo diverso rispetto alle specie degli altri continenti. Il record fossile nord americano potrebbe perciò non essere rappresentativo della situazione globale, sempre che una simile generalizzazione fosse mai possibile.
Dai risultati ottenuti non è possibile dedurre una reale tendenza all’estinzione per il gruppo di dinosauri in declino; le fluttuazioni di variabilità con modesti incrementi o decrementi sono avvenute a più riprese durante il Mesozoico ma esse non possono essere considerate realmente significative se si tiene in considerazione l’intera storia del taxon, una storia di 150 milioni di anni.