Rio 1992 era l’approdo di un progetto epistemico che durava da trent’anni, da quando nel 1962 il libro Primavera silenziosa di Rachel Carson aveva inaugurato, entro “l’era dell’antropocene” (P. Crutzen), la “nuova era dell’ecologia” (D. Worster). Un progetto della “ragione ecologica” dell’“etica” intera, vista al modo di Eraclito come un “soggiornare dell’uomo” aperto alle relazioni, alle presenze che il logos cosmico distribuiva nella natura e nella storia.



La sintesi epistemica si era nutrita di percorsi e figure similari e complementari, entro una vasta e composita pluralità di posizioni: dalla “ecologia della mente” di Bateson ai “limiti dello sviluppo” del MIT; dalla “ecologia scientifica” di Odum, Shepard e Commoner alla“ecologia profonda”/ecosofia di Naess, alla bio-economia di Georgescu-Roegen; dall’etica “dell’essere” di Fromm alla teologia della Creazione di Moltmann, di Giovanni Paolo II e, con Florenskij, Bulgakov e Evdokimov, del cristianesimo ortodosso.



Un approdo che andava ben oltre i risultati della Conferenza di Stoccolma (1972), ancora tutti circoscritti in un quadro epistemico che potremmo definire di “ecologia superficiale”, più incentrata sulla “euristica della paura” (Jonas) che sull’incontro con la natura come complessa unità e sintesi di processi di vita e di bellezza.

Oggi la sfida, ben più impegnativa, esige una radicalità più profonda e più organica. Quindi, una compiuta radicalità, che veda la sintesi tra due assi:

1) Un asse epistemico sempre più dinamico, in cui l’Abitare dell’uomo sia sempre più aperto alla “bellezza” (ontologica, antropologica, epistemologica, etica) sostenuta dalle scoperte scientifiche che avanzano, sul “nuovo alfabeto” del mondo naturale, sulla nuova “dignità” dello stesso. (si pensi solo come si è passati dalle riflessioni di nicchia presenti nella scuola fenomenologica (E. Stein, H. Conrad-Martius) che ha ispirato Giovanni Paolo II  (“l’anima delle piante”, in H. Conrad-Martius) alla “Carta dei diritti delle piante” (approvata nel 2008 dalla Confederazione Elvetica).



2) Un asse di pedagogia comunicativa neo-gramsciana (di cui già era stato laboratorio sorgivo soprattutto la strategia dei cattolici lombardi e toscani nell’epoca risorgimentale, nonché di figure come Rosmini e Gioberti) che ponga al centro da subito il processo di unità culturale tra intellettuali guidati dalla ancor minoritaria posizione ecologista e “mondo dei semplici”.

Rio 1992 aveva parlato al mondo di sviluppo sostenibile. Vent’anni dopo, con la categoria di sviluppo sostenibile ormai inadeguata, Rio 2012 deve partire dalla constatazione, verificata sul campo in molteplici esperienze, che la scienza e la tecnica, da sole, non possono orientare l’umanità verso un itinerario di salvezza.

Come Rio 1992 chiudeva il secondo millennio, Rio 2012 si colloca emblematicamente all’inizio del terzo, indubbiamente il millennio più impegnativo della storia umana, quando ormai dovrebbe essere evidente che senza i valori distribuiti nella storia della civiltà umana (dai primitivi ai Greci, da Zarathustra all’induismo, dal giainismo al buddismo, dal taoismo all’ebraismo, al Cristianesimo, all’Islam, alla scienza moderna, all’illuminismo) ovvero senza la sintesi di “un nuovo umanesimo” il mondo – “la nostra casa comune”, come dice Benedetto XVI – non si salva.

Dobbiamo quindi fare auspici perché Rio 2012 segni un punto di svolta verso un nuovo cammino in cui le vecchie categorie della modernità lascino il campo a un’autentica rivoluzione del nostro modo di interpretare le relazioni tra noi e la natura/creazione. Che ne escano quindi delle indicazioni e delle linee-guida intese a tradurre in processi e strategie formative permanenti quell’istanza di nuovo umanesimo della cui necessità ci parlava Einstein. Un umanesimo questa volta planetario ed ecosofico e, come tale, prologo a un nuovo Rinascimento. Anzi, per usare un termine quanto mai attuale e mutuato dalla nostra storia, di un nuovo Risorgimento.