Sembra impossibile ma è vero: la stenosi aortica, che in Italia colpisce oltre il 5% della popolazione sopra gli 80 anni, può essere curata installando una protesi col semplice ausilio di un catetere.

La stenosi aortica è una patologia cronica a carico della valvola cardiaca aortica, ossia di quella valvola che regola il flusso di sangue ossigenato che dal ventricolo sinistro del cuore viene pompato in tutto il corpo. La malattia è dovuta all’accumulo di depositi di calcio sulla valvola: col passare del tempo l’apertura della valvola si restringe e il sangue viene pompato con difficoltà sempre maggiore. Con l’aggravarsi della patologia (stenosi grave e sintomatica) iniziano poi a manifestarsi i primi svenimenti e dolori al torace, cui segue un’insufficienza cardiaca e, nel giro di un paio d’anni, il decesso.



Al giorno d’oggi il trattamento d’elezione per la sua cura è la sostituzione della valvola per via chirurgica a cuore aperto, effettuando l’arresto dell’attività cardiaca e attivando la circolazione extracorporea. Ma che fare se il paziente non è operabile a causa dell’età avanzata o per la presenza di gravi patologie concomitanti? Al momento la soluzione sembra essere una soltanto: l’Impianto Transcatetere della Valvola Aortica (TAVI).



Nei giorni scorsi a Milano è stata illustrata con chiarezza questa tecnica innovativa messa a punto dal professor Alain Cribier (dell’Hopitaux de Rouen), uno dei padri della cardiologia interventistica. All’incontro hanno inoltre preso parte tre fra i cinque membri del “Gruppo di Lavoro per l’Appropriatezza della TAVI”: un team di cardiochirurghi e cardiologi interventisti italiani che lavora in sinergia per promuovere la diffusione della TAVI, diffondendone la conoscenza, favorendone l’applicazione clinica secondo le più appropriate indicazioni di intervento e operative ma anche promuovendo studi e ricerche volti ad avvalorarne la sostenibilità. Ma come funziona esattamente la procedura TAVI? La protesi è costituita da valvole in tessuto pericardico bovino sostenute da uno stent (un cilindretto di maglia metallica) compresso e montato su un catetere con sistema di rilascio.



La protesi può essere introdotta e impiantata mediante due approcci diversi, raggiungendo la valvola aortica danneggiata attraverso l’arteria femorale (metodo transfemorale) o, laddove questo non fosse possibile, per via chirurgica effettuando un piccolo taglio intercostale e raggiungendo la valvola attraverso l’apice del ventricolo sinistro (metodo transapicale). Una volta in situ, lo stent si dilata fino a raggiungere un diametro pari a quello del lume, spingendo i lembi della valvola danneggiata contro le pareti dell’aorta e sostituendone la funzione.

A dieci anni dal suo primo intervento TAVI, Alain Cribier ricorda con emozione il momento in cui impiantò per la prima volta una valvola aortica per via percutanea in un uomo a cui restava poco da vivere. «Aveva il cuore quasi fermo, una contrattilità cardiaca bassissima, arterie quasi totalmente chiuse e diverse altre patologie – ricorda – ma riuscimmo a salvarlo».

Cribier ha dedicato gran parte della sua vita alla cura delle valvulopatie cardiache, concentrandosi sulla fascia di età “over 75”. Negli anni Ottanta ha messo a punto la valvuloplastica (dilatazione del lume tramite un catetere a palloncino), una tecnica innovativa che si pose come alternativa alla terapia farmacologia nei pazienti più gravi. Nonostante i risultati incoraggianti, il trattamento mostrava tuttavia benefici temporanei e limitati.

Proseguendo le sue ricerche, Cribier è infine arrivato a ideare la TAVI, che fin da subito è stata purtroppo oggetto di aspre critiche da gran parte della comunità scientifica. Solo nel 2007, quando ha ricevuto il marchio CE in Europa, la tecnica venne definitivamente approvata. Da allora la sua efficacia e sicurezza sono state ampiamente dimostrate e oggi sono oltre 50.000 le persone portatrici di una valvola aortica transcatetere.

 

I professori Gennaro Santoro, Pierluigi Stefàno e Paolo Rubino non hanno dubbi: «Il vantaggio fisico e psicologico per il paziente è evidente: minima invasività, durata dell’intervento ridotta, rapida dismissione, possibilità di rapido ritorno alle normali attività quotidiane. La TAVI ha donato una preziosa chance ai pazienti non candidabili all’intervento chirurgico».

La metodologia è attualmente oggetto di numerosi studi di confronto con la chirurgia tradizionale. Di particolare interesse è lo studio “PARTNER”: lo studio non solo ha dimostrato come la sopravvivenza nei pazienti ad alto rischio sia equivalente con entrambe le procedure ma ha anche confermato la superiorità della TAVI nei pazienti non operabili (in oltre il 20% dei casi si ha una riduzione assoluta della mortalità).

Purtroppo a livello italiano la situazione non è delle più rosee. Anzitutto solo poche migliaia di italiani affetti da stenosi aortica grave vengono curati con appropriatezza, a fronte di un numero di potenziali candidati all’intervento che si aggira sui 15-20.000. «Inoltre – aggiungono i tre professori – c’è una mancanza di equità nell’accesso alla TAVI tra cittadini delle varie Regioni: diversamente da quanto accade nei principali Paesi Europei, non esiste una tariffa di rimborso, un DRG, e solo alcune Regioni hanno messo in atto un’adeguata pianificazione, definendo anche una tariffa per la prestazione».

«La TAVI ha rivoluzionato il modo di curare la stenosi aortica – concludono – La nostra speranza è che la procedura prenda piede sempre più, fino a diventare il nuovo standard terapeutico per tutti i malati non operabili».