Il 26 giugno del 2000, dodici anni fa, il Sanger Center fa sapere di aver sequenziato il genoma umano, calcolando un numero di geni compreso tra i 30 e i 40mila. Per qualcuno, come riportato dai mass media che celebrano questo giorno, una data così significativa da essere definita “il giorno in cui hanno decifrato il codice della vita”. E’ veramente così, e se è così, cosa significa? Attorno a una definizione del genere ruota infatti la definizione stessa dell’essere umano, il concetto ontologico dello stesso, come ha spiegato il professor Carlo Soave in una conversazione con IlSussidiario.net.
Professore, abbiamo dunque in mano il codice della vita?
Innanzitutto, mi dispiace per quanti amano festeggiare gli anniversari come dovrebbe essere questo “Dna Day”, facciamo una precisazione. La sequenza accurata del dna, quella precisa, è stata scoperta il 16 e 17 febbraio 2003, non il 26 giugno del 2000. Se uno va a guardare riviste come Science e Nature, le due principali riviste del mondo su questi argomenti, riferiscono quella data come quella della decifrazione reale del codice genetico umano.
Anniversari sbagliati a parte, cosa vuol dire aver decifrato il codice della vita?
Bisogna intendersi cosa si intende con codice. Già negli anni 40 gli scienziati che si occupavano di questo dicevano che già si sapeva che i geni erano nei cromosomi e dentro i cromosomi c’era il dna. Sono questi cromosomi che contengono il codice della vita e sono allo stesso tempo il codice pieno di informazioni. Nel dire ciò c’era dentro implicitamente il concetto che la nostra vita è definita e come tale quella di tutti gli organismi viventi da quello che c’è nel dna. L’idea che sostanzialmente siamo determinati dai nostri geni.
E questo non è vero?
No, non è vero. Il codice della vita non è un codice, ma sono degli strumenti in mano al nostro organismo vivente il quale usa di questi strumenti più altri centomila per condurre la propria vita. Chi ha l’informazione è l’organismo intero e non il dna.
Dunque cosa cambia nella concezione di dna?
La gente si immagina che nel dna c’è scritto il nostro destino, la salute e la malattia. Questo non è vero. Faccio un esempio: è uscito tre quattro mesi fa uno studio in cui si analizzano le malattie a cui sono andati incontro circa 5mila gemelli monozigotici cioè gemelli con lo stesso dna. Si dimostra che non vanno incontro allo stesso tipo di malattie, ma esse dipendono invece dallo stile di vita condotto. Non è vero che il destino è scritto nel dna, ed è vero per tutti gli organismi anche per i batteri. Un batterio che emigra fuori dalla colonia è diverso da quello che ci rimane.
Quanto lei ci dice va un po’ contro la mentalità comune di dna come centro della nostra esistenza, una sorta di fabbrica del destino personale.
Ma è così. Una cellula di fegato è diversa da una cellula di cuore. Eppure hanno lo stesso dna e come mai sono diversi? Se la forma e la funzione dovessero dipendere dal dna dovrebbero essere identici invece sono diversi. Sopra il dna sono inserite delle modificazioni che si chiamano epigenetiche proprio perché stanno sopra il dna e che modificano come viene utilizzato questo strumento, il dna, facendo sì che due cellule si differenziano una dall’altra.
Se il nostro destino fisico non è determinato dal dna come comunemente si pensa, da cosa lo è?
Se un organismo che vive all’Equatore va al Polo nord si adatta alla nuova condizione. Cosa vuol dire? Si adatta alla nuova condizione ambientale, è una specie di differenziamento anche questo. Modifica il suo modo di usare i suoi strumenti per far fronte alla nuova condizione. Pensi a un falegname che ha degli strumenti, fa delle cose e che cosa fare dipende da cosa gli hanno insegnato e da quello che lui ha imparato. L’uomo cioè dipende dagli strumenti, ma non è determinato dagli strumenti.
L’uomo in sostanza è libero, non è sopraffatto da un destino scritto nel suo codice genetico.
E per fortuna che è così. Se devo recarmi in Piazza Duomo a piedi dipendo dalle mie gambe, ma se mi sono preso la briga di recarmi là non è dipeso dalle gambe, bensì dalla mia decisione di andarci.
Ci sono problemi etici legati allo studio del dna?
Sicuramente, basti pensare che nella concezione di essere profondamente condizionati dal nostro dna, allora su questa base il nostro destino è uscito per caso alla roulette. Se invece non è vera questa ipotesi cambia lo scenario. Attorno a questi problemi si gioca cosa è l’uomo che è poi quello che ci interessa. Attorno a queste cose ruota la concezione ontologica chi siamo e cosa siamo. Per l’etica, poi gli scenari sono davvero complessi: se io posso fare una diagnosi prenatale di alterazione genetica il problema che si pone è: conoscere per curare o conoscere per selezionare?