“Le sonde Voyager sono i rappresentanti attivi più lontani dell’umanità e del suo desiderio di esplorare”: queste parole chiudono il lancio di agenzia della Nasa per segnalare l’ennesimo risultato raggiunto dalla missione Voyager.

Si sta infatti approssimando sempre più il momento in cui la più lontana delle due famose sonde lascerà la zona di influenza del nostro Sole per entrare definitivamente nello spazio interstellare. È un traguardo storico ed estremamente significativo: dopo 34 anni di silenzioso viaggio attraverso il sistema solare e poi verso i suoi confini, la missione Voyager sta per giungere alle vere Colonne d’Ercole dei nostri dintorni cosmici, uscendo dalla “bolla” dentro la quale si trova il Sistema Solare. Da lì in avanti anche dal punto di vista gravitazionale il Sole avrà un’influenza pressoché irrilevante.



Delle due sonde, la numero 1 è la più distante dalla Terra, a circa 18 miliardi di chilometri, mentre l’altra si trova attualmente a poco meno di 15 miliardi di chilometri. Il segno di questo approssimarsi è il cambiamento delle caratteristiche delle regioni di spazio nella quale ora si trovano le Voyager. Le sonde, infatti, rilevano un numero molto maggiore di particelle cariche – i raggi cosmici – che hanno origine da esplosioni di supernovae avvenute nei nostri dintorni spaziali.



Il fenomeno dell’aumento dei raggi cosmici rilevati non è una novità dell’ultima ora: negli ultimi tre anni, infatti, e precisamente dal gennaio 2009, i ricercatori del JET Propulsion Laboratory, sede del controllo della missione Voyager, hanno potuto apprezzare come il numero di particelle rilevato dal Voyager 1 sia salito di una percentuale molto importante: il 25%. Dal 7 maggio di quest’anno, invece, l’incremento è stato a dir poco vertiginoso, arrivando al 9%.

Ci si chiederà perché proprio questo dato sia indicativo del fatto che Voyager sia ai confini della regione sottoposta all’influenza Solare. Ci viene in aiuto la fisica del Sole. La nostra stella infatti, genera nello spazio intorno a sé un vento di particelle, il vento solare, che in qualche modo – ancora non del tutto compreso -, funge da schermo per le particelle cariche provenienti dalle regioni più esterne. Tale immensa bolla di plasma in espansione di forma irregolare è chiamata eliosfera. Pur avendo una densità inferiore rispetto al mare di particelle in movimento esterne al sistema solare, il vento solare riesce a schermare l’ingresso dei raggi cosmici non solari al suo interno.



La rilevazione di un cambiamento di densità di particelle a questa distanza dal Sole, più di 100 Unità Astronomiche (1 UA è circa 150 milioni di chilometri), è in perfetto accordo con le mappe teoriche dei confini del nostro sistema solare. Ma i Voyager I e II sono ancora all’interno dell’eliosfera o ne sono già usciti? Qui ci vengono in soccorso altre due misure delle due sonde gemelle. Il secondo dato che emerge dalle misure riguarda infatti le particelle della eliosfera: l’intensità rilevata delle particelle della bolla sta calando in modo dolce e non improvviso, come invece ci si poteva aspettare al passaggio oltre i confini del sistema solare. L’ultima misura significativa è quella del campo magnetico. Le sonde stanno rilevando come la direzione del campo magnetico solare sia in direzione est-ovest, e non nord-sud, come invece ci si aspetta nel mezzo interstellare.

Il Voyager è dunque ancora nell’eliosfera, e in un tempo relativamente vicino uscirà da essa. Cosa accadrà al momento dell’uscita? Fino a pochi mesi fa si pensava che sarebbe andato incontro a una vera e propria zona d’urto, simile all’onda d’urto che si genera nell’aria intorno a un jet supersonico quando supera la barriera del suono: la missione Voyager ha già chiarito che in realtà questa zona non dovrebbe esistere, probabilmente per motivi legati al fatto che il Sole si muove, rispetto alla galassia, più lentamente di quello che si pensava. L’ingresso del Voyager nello spazio interstellare avverrà quindi probabilmente senza urti.

«Quando i Voyager vennero lanciati nel 1977 – dice Ed Stone, Voyager project scientist al California Institute of Technology in Pasadena – l’età spaziale prevista per le due navicelle era di 20 anni. Molti di noi nel team sognavano di raggiungere il mezzo interstellare, ma veramente non potevamo avere modo di sapere quanto lungo avrebbe potuto essere il viaggio, o se questi due veicoli sui quali avevamo investito tanto tempo ed energia avrebbero funzionato abbastanza a lungo per raggiungerlo». 

È dunque una sorpresa che si è protratta per un lungo percorso, un cammino di 34 anni, quasi il doppio di quanto preventivato. E molte scoperte compiute in questo impegnativo viaggio hanno illuminato la conoscenza del nostro sistema solare e dello spazio intorno a esso, aiutandoci nel difficile lavoro per comprendere quale sia il nostro posto nel colossale scenario galattico, a sua volta un puntino nell’universo.