Uno dei risultati più sorprendenti della moderna astronomia è che ci mette in grado di scoprire la straordinaria varietà di forme, colori e configurazioni degli oggetti che popolano gli spazi cosmici. I poderosi strumenti di osservazione, terrestri e spaziali, ci stanno rivelando, a ritmi impressionanti, un universo che è sempre nuovo, mutevole e dinamico; in contrasto con la sensazione di calma, uniformità e immutabilità che evoca in ognuno di noi la vista di un cielo stellato.



Alla catalogazione di nuove stelle, di nebulose e di galassie, da qualche tempo si sta aggiungendo quella dei pianeti extrasolari, il cui numero cresce di giorno in giorno. E anche qui le sorprese non mancano. Come quella riportata nei giorni scorsi da Science Express e che descrive un sistema di due pianeti che orbitano attorno a una stella simile al nostro Sole ma più grande e più vecchia.



Ciò che ha principalmente stupito la cinquantina di scienziati del team internazionale che ha condotto le ricerche, sotto la guida degli astronomi di Harvard, è la particolare prossimità dei due pianeti, che viaggiano vicini tra loro come non si era mai visto. Immaginando di essere sul pianeta più piccolo – dicono gli astronomi americani – e guardando in alto verso il pianeta compagno, lo spettacolo che si presenterebbe allo sguardo di un ipotetico osservatore sarebbe simile alla visione di una Luna piena di dimensioni doppie.

Nel nostro sistema solare, e negli altri finora osservati, non ci sono pianeti così vicini tra loro: quello più interno orbita attorno alla stella con un periodo di circa 14 giorni a una distanza media di 18 milioni di kilometri; l’altro compie il suo tour in 16 giorni viaggiando a una distanza media di poco più di 19 milioni di kilometri. Ogni 97 giorni i due si muovono perfettamente allineati, ovvero in congiunzione: in quel momento sono separati da una distanza di 1,9 milioni di kilometri, poco meno del quintuplo della distanza tra la Terra e la Luna. Per cogliere tutta la novità di questa disposizione, basterà pensare che il pianeta più vicino a noi, Venere, non ci si avvicina mai a meno di 41 milioni di kilometri.



La stella madre della nuova coppia, che dista da noi circa 1200 anni luce, è stata identificata e analizzata dal satellite Kepler della Nasa, e per questo il sistema è stato denominato kepler-36. La missione Kepler ha riconosciuto i due pianeti misurando le variazioni di luminosità della stella: ogni attenuarsi della luce segnala il passaggio di un altro corpo davanti all’astro centrale.

Lo studio di kepler-36 è facilitato dal fatto che la stella subisce periodiche pulsazioni: dal loro esame gli astronomi riescono a ricavare dimensioni, massa ed età della stella e da queste possono dedurre dimensioni e masse dei pianeti. Ed ecco la seconda sorpresa. il pianeta più interno, denominato kepler-b, risulta essere roccioso e soggetto a terremoti e vulcanismo; è grande una volta e mezzo la Terra ed è più denso. Al contrario l’altro, kepler-c, ha le dimensioni del nostro pianeta ma è molto meno denso, quasi gassoso. Per darne un’immagine suggestiva gli astronomi dicono che uno è una super Terra, l’altro è un caldo Nettuno.

La differenza di densità tra i due è notevole, quasi un fattore otto, e per giunta i due sono molto vicini. L’insieme dei due fattori delinea una situazione totalmente nuova, che costringe gli astronomi a rivedere i modelli di formazione planetaria. È abbastanza normale infatti che in un sistema planetario ci sia una diversa collocazione dei corpo più densi e di quelli gassosi: nel nostro sistema, ad esempio, quelli rocciosi, come noi, arrivano a Marte, poi iniziano i gassosi, oltre la sfascia degli asteroidi.

Ora quindi si dovranno intensificare gli studi per spiegare l’apparente anomalia. Come sempre nella scienza, nuove osservazioni spalancano scenari imprevedibili: alla bellezza dei nuovi spettacoli celesti si accompagna il sorgere di nuove domande, in un’esaltante avventura di conoscenza.

 

(Michele Orioli)