Nella seconda metà degli anni ’40 del secolo scorso, la popolazione di sardine al largo delle coste californiane e giapponesi crollò drammaticamente. Lo stesso accadde negli anni cinquant’anni dopo per il merluzzo canadese. Questi eventi costituiscono vere e proprie catastrofi ecologiche che, ovviamente, suscitano grande preoccupazione per le ripercussioni ambientali ed economiche che provocano.
Fenomeni di questo tipo sono spesso descritti dagli studiosi con il termine inglese “tipping point”, che potremmo tradurre come “punto di svolta”. In realtà, questo termine è molto generale e può essere associato allo studio dei fenomeni critici nella fisica e in particolare nella materia condensata. In quel contesto, il “punto di svolta” di un sistema fisico corrisponde a una transizione di fase: un liquido che diventa gas, un magnete che perde un’orientazione privilegiata e diventa paramagnetico, e così via. In ambito matematico, questo punto viene anche chiamato “punto di biforcazione”, perché corrisponde a un “bivio” sulla strada che il sistema percorre.
Una domanda interessante, quindi, è se la natura del tipping point che troviamo negli ecosistemi è proprio la stessa del fenomeno osservato in fisica. Quattro ricercatori del MIT di Boston e dell’università di Amsterdam hanno recentemente pubblicato su Science un lavoro che mostra quanto questi due mondi siano vicini.
In generale, il tasso di crescita di una popolazione è massimo a densità intermedie e negativo a densità basse. In altre parole, ad alte densità di popolazione il tasso di crescita è ridotto dalla competizione per le risorse disponibili, mentre a basse densità diventano rilevanti le difficoltà a trovare un compagno o a realizzare comportamenti cooperativi, come per esempio formare un branco per la caccia o difendersi dai predatori. La virtù, insomma, sta nel mezzo.
Studiando colture di lievito a diverse diluizioni, gli autori hanno dapprima misurato la densità critica che separa la stabile sopravvivenza dall’estinzione della popolazione. Questi due punti si avvicinano col crescere della diluizione, fino a toccarsi. Da quel punto in poi, la coltura è talmente diluita che la popolazione non riesce mai ad autosostenersi.
Questo punto presenta le tipiche caratteristiche di un punto critico nella fisica dei materiali. In un magnete, per esempio, un punto critico è il punto di Curie, al di sopra del quale il sistema diventa paramagnetico; in un fluido, la temperatura oltre la quale non c’è più separazione gas-liquido ecc …
Una proprietà caratteristica dei punti critici è l’aumento del tempo di rilassamento del sistema in seguito a una perturbazione. Si modifica il sistema mantenendo fisse tutte le proprietà fisiche (temperatura, densità ecc …) e si osserva quanto tempo impiega a ritornare allo stato di equilibrio. Usando termini un po’ evocativi potremmo dire che, all’approssimarsi di un punto critico, il sistema sente la vicinanza di due diversi stati e tende ad essere sempre più indeciso su quale stato convergere. Il risultato è un aumento del tempo impiegato dal sistema per ritornare all’equilibrio.
Significativamente, il gruppo che ha lavorato a questa ricerca mostra, per la prima volta, l’esistenza questa importante proprietà nelle colture di lievito vicine al punto di biforcazione. Si osserva infatti un pronunciato aumento dei tempi di rilassamento dopo l’introduzione di sale nel campione (che costituisce la perturbazione), già a diluizioni non troppo vicine alla diluizione critica. Ciò vuol dire che un significativo rallentamento nella dinamica di una popolazione costituisce un importante segnale di avvertimento che ci si sta avvicinando a una possibile catastrofe ecologica. Si tratta di uno strumento in più per prevenire eventi che possono sconvolgere gli ecosistemi; trovato, ancora una volta, grazie a proficue contaminazioni fra discipline diverse.