Il tema è controverso e la legge varia da Paese a Paese. Il dibattito si accende, soprattutto, quando si parla di staminali embrionali umane: le ragioni scientifiche, filosofiche e religiose si uniscono in pericolosi intrecci dove è difficile stabilire i labili confini fra l’una e le altre. In Italia la legge è chiara: la ricerca sulle staminali embrionali è permessa, ma non si possono derivare, cioè ottenere nuove cellule staminali. La ricerca, però, non si ferma nella speranza di trovare, un giorno, le cellule giuste per curare alcune malattie degenerative, come il Parkinson, la malattia di Huntington o la Sclerosi Laterale Amiotrofica. Proprio su questa terribile malattia due settimane, per la prima volta, sono state trapiantate cellule staminali di un feto morto nel midollo spinale di un uomo cinquantunenne affetto da Sla. Il paziente è ora in convalescenza e sembra che il decorso si stia svolgendo nel migliore dei modi. L’intervento è stato condotto da un’equipe medica coordinata da Angelo Vescovi, direttore dell’Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo. Che ha puntualizzato “Un feto è un individuo in tutto e per tutto, un essere umano, e come tutti gli esseri umani può morire per cause totalmente naturali ed esattamente come gli esseri umani, quelli adulti, fanno la donazione di organi, si chiede un permesso. In questo caso si chiede il permesso ai genitori”. Ricerca ed etica, dunque, non sono in disaccordo. A questo proposito abbiamo interpellato per IlSussidiario.net il genetista Bruno Dallapiccola.



Professore, a che punto è la ricerca nel campo delle cellule le staminali?

Per quanto riguarda la ricerca delle staminali dell’adulto è sicuramente in buon salute: sono le uniche cellule ufficialmente autorizzate all’utilizzo e nel nostro Paese è presente un buon numero di centri: alcuni lavorano alle applicazioni più tradizionali e largamente utilizzate, le cellule staminali dell’origine del sangue, quelle emopoietiche, per le quali vengono eseguiti trapianti per la ricostruzione di midollo e per il trattamento di alcune malattie genetiche. Altri, invece, lavorano alle ricostruzioni dell’osso sino ad una serie di altri interventi che vengono eseguiti, ad esempio, per la ricostruzione della cornea passando ad altre applicazioni che si fanno a livello cutaneo. A livello sperimentale, si sta iniziando ad usare cellule mesenchimali per la ricostruzione del muscolo cardiaco: nuovi progetti stanno, poi, delineandosi per la cura delle malattie neurologiche che tuttora rimangono le più “insoddisfatte” dal punto di vista dei risultati della terapia.



I processi sembrano ancora abbastanza lunghi.

Non dobbiamo avere fretta: occorre ragionare come per la terapia genica che ha lavorato per quarant’anni prima di trovare i veri protocolli che oggi consentono, seppur in maniera del tutto elitaria, di trattare alcune patologie rarissime con successo. Credo che quello delle cellule staminali sia un percorso che necessiti una comprensione speciale di meccanismi e di potenziale utilizzazione che sicuramente è destinata ad avere un successo progressivo negli anni.

Un capitolo a parte, quello relativo alle staminali embrionali, continua ad essere molto discusso.



Le implicazioni morali del loro utilizzo sono molto controverse. Si possono, infatti, usare solo dopo la distruzione dell’embrione e questo solleva quesiti etici ai quali i vari Paesi hanno dato risposte diverse. L’Italia, da tempo, ha vietato l’uso di queste cellule privilegiando la salvaguardia dell’embrione: del resto, la loro efficacia per la cura di alcune malattie deve ancora essere dimostrata; una parte delle ricerche eseguite sulle cellule embrionali staminali è stata bypassata in questi anni dallo sviluppo di modelli in vitro, cellule iPS, cioè cellule adulte riprogrammate: per la ricerca costituiscono modelli per lo studio di parecchie malattie. Chiaramente, le cellule iPS presentano, come le embrionali, problemi all’uso della terapia e, di fatto, non sono oggi utilizzabili. Penso che questo varrà per molto tempo anche per le embrionali tradizionali, nel senso che la loro manipolazione presenta una serie di problemi che possiamo considerare tutt’altro che risolti.

I nostri ricercatori possono però, lavorare su cellule prodotte in laboratori stranieri, all’interno di collaborazioni internazionali?

Nel nostro Paese è ormai noto che vengano, comunque, importate delle “linee” cellulari embrionali che sono disponibili commercialmente. Un buon numero di ricercatori che lavorano sulle malattie neuro-degenerative non ha mai avuto difficoltà ad ammettere l’uso di queste “linee” stabilizzate di embrionali. D’altra parte, da ricercatore, credo che lo studio delle staminali embrionali sia utile per comprendere meglio il decorso di alcune malattie umane. Chiaramente, l’argomento si divide in due scuole di pensiero: da una parte c’è chi caldeggia le embrionali solo di tipo animale e dall’altra, c’è chi vuole usare cellule provenienti da embrioni distrutti. Trovo, come dicevo prima, che le iPS siano un ottimo compromesso, già da almeno cinque anni, soprattutto fintanto che qualcuno non riuscirà a dimostrare la totale efficacia delle embrionali e per chi msotra un certo rispetto nei confronti dell’embrione , considerandolo una persona in potenza.

Un problema assonante sono le blastocisti (embrioni durante le prime fasi del suo sviluppo ndr) prodotte in sovrannumero e che giacciono nei frigoriferi di moltissimi centri specialistici italiani.

E’ un argomento che sta tornando drammaticamente alla ribalta per via di alcuni attacchi mossi da certi tribunali alla Legge 40, snaturandone la filosofia generale. Il punto peculiare di questa legge era l’articolo 1 che, da un lato, salvaguardava la futura mamma e, dall’altro, l’embrione: tutti gli assalti che sono stati compiuti dalle varie sentenze hanno contribuito a che l’embrione ne facesse le spese. Una delle conseguenze più gravi è stata la iper-produzione di embrioni inutilizzati e destinati all’incertezza. Inoltre, non credo che gli anni che sono passati dalla prima applicazione della Legge 40 abbiano modificato le possibili soluzioni: l’uso dell’embrione per la ricerca, per l’adozione o la sua distruzione. Non ci sono altre alternative. Resta il fatto che l’uso di questi embrioni sovrannumerali deve farci riflettere e farci chiedere perchè nei Paesi dove l’utilizzo degli embrioni per la ricerca , teoricamente disponibile da molti anni, non viene contemplato. Io penso che il motivo sia che l’ utilizzo darebbe dei risultati del tutto insignificanti e marginali perchè la maggior parte di questi embrioni non consentirebbe, comunque, di ottenere cellule staminali embrionali idonee per la ricerca. E’ da considerarsi più come un aspetto di tipo “emotivo” piuttosto che una reale rinuncia della ricerca scientifica all’uso di questi tipi cellule.

 

(Federica Ghizzardi)