Il dibattito sul cambiamento climatico è sempre molto acceso, e tende a surriscaldarsi in corrispondenza dei meeting internazionali quali il Rio+20 (20-22 giugno 2012), dove sono affrontati argomenti relativi allo sviluppo e sostenibilità del nostro pianeta. In particolare, ci si domanda, come in questo articolo, se i modelli a grande scala su cui ci si basa per prevedere il clima della Terra siano sufficientemente affidabili per sviluppare politiche di adattamento. Parrebbe proprio di no. Bisognerebbe però puntualizzare alcune inesattezze, o conclusioni frettolose. La più evidente delle quali sentenzia quanto segue: “To say which theory, if any, is right, we need to look at the spatial patterns. Different theories make different predictions about where the warming should be taking place, a detail that gets missed if we only look at the global average. A valid model should not only get the global trend right, but also the spatial pattern of change”.Che in parole povere significa: un modello climatico si può considerare attendibile se prevede correttamente non solo il trend temporale medio, ma anche i dettagli dei cambiamenti su scala spaziale, ad esempio se la variazione della temperatura o della precipitazione in una particolare regione del globo sia in accordo o meno con le osservazioni. Dunque, se il sillogismo regge (per fare previsioni a lunga scala temporale ci si può fidare solo di un buon modello, e un buon modello è quello che prevede corrertamente gli “spatial pattern of change”), allora gli attuali modelli sono da considerarsi inaffidabili. Affermazione quanto meno superficiale. L’atmosfera e gli oceani sono sistemi estremamente complessi, che vivono su interazioni (feedback) molto complicati. La scienza del clima, per venirne a capo, tenta di smembrare le diverse componenti su più frequenze temporali. Ad esempio, se si vuole studiare il rialzo termico del pianeta si tenta di isolare un trend lineare (o “di fondo”), su cui poi agiscono altre tendenze, a frequenza sempre maggiore e a scala spaziale sempre più ridotta. Non si può mescolare tutto assieme in un gran minestrone. Per cui, se si vuole davvero capire la ragione dell’attuale riscaldamento, sarebbe utile individuare cosa causa il cambiamento del trend di fondo.
L’ipotesi per il riscaldamento globale dell’atmosfera è il famoso effetto serra. Vi sono centinaia di studi, supportati da evidenze sperimentali, che indicano la CO2 come un grosso fattore di rischio. Indipendentemente dalle diverse sfumature che si possono trovare all’interno della comunità scientifica, è del tutto evidente che al momento questa è considerata la causa più attendibile. La conferma viene appunto dai modelli climatici, che se eccitati con tale forzante simulano un riscaldamento dell’atmosfera simile a quello riscontrato. Ciò detto, è innegabile che il più grosso problema che affligge gli attuali modelli a grande scala è l’incapacità a descrivere correttamente certi comportamenti dell’atmosfera e degli oceani (se ne era parlato anche su queste pagine). Tuttavia, questi ultimi sono da ascrivere a dinamiche a più alta frequenza, come il Nino o i monsoni, o i cicloni tropicali, e così via. Tutti fenomeni legati alla variabilità interna al sistema, che si stima possano al massimo smussare il suddetto trend al rialzo. Certo, si potrebbe ipotizzare che una serie di questi fattori abbia forzato nello stesso senso il sistema-atmosfera ad un nuovo equilibrio, a cui si sta tendendo con l’attuale riscaldamento globale. Tuttavia, la probabilità che ciò si stia verificando è statisticamente molto bassa. D’altro canto, così come lo stato dell’arte dei modelli a grande scala sia deficitario nel descrivere certi fenomeni o trend atmosferici e oceanici (e Ross McKitrick ne sottolinea correttamente alcuni), è pur vero che gli sforzi prodotti finora hanno reso questi strumenti enormemente efficaci nel simulare la circolazione globale dell’atmosfera e degli oceani (come ad esempio il jet-stream alle medie latitudini, la circolazione termoalina o le interazioni troposfera-stratosfera). Rimane la grande sfida a migliorarsi, a rendere la conoscenza fisica e modellistica sempre più avanzata per poter giungere a prevedere I cambiamenti climatici su scale spaziali e temporali sempre più piccole.