Arriva “il topo umanizzato”. Niente paura, non siamo davanti a mostruosità descritte da certa letteratura o ipotizzate da troppo spinte ambizioni scientifiche, ma davanti al primo topo “modellato” per studiare l’Aids, un risultato già definito dagli esperti «una vera rivoluzione per la ricerca sui vaccini contro il virus dell’Hiv». Il topo umanizzato è stato ottenuto dai ricercatori del Massachusetts General Hospital in collaborazione con i colleghi di Harvard e del Massachusetts Institute of Technology. IlSussidiario.net, anche alla luce delle recenti polemiche sull’utilizzo degli animali nella sperimentazione farmacologica – come nel caso dell’allevamento di beagle di Green Hill -, ha chiesto al virologo Fabrizio Pregliasco di chiarire in cosa consista questa nuova sperimentazione animale. «Il topo, è da sempre utilizzato in laboratorio perché, soprattutto quello anziano, ha una risposta immunitaria molto simile a quella dell’uomo», spiega, «ecco perché si parla di topo “umanizzato”».
Si è parlato, riferendosi a questo caso specifico, di rivoluzione per la ricerca dei vaccini contro il virus dell’Hiv: siamo davvero davanti a qualcosa di inedito?
In realtà il topo è sempre stato usato in casi analoghi, ovvero nelle ricerche sul sistema immunitario, perché ha una risposta immunitaria molto simile a quella dell’uomo. Nel caso in questione hanno selezionato e migliorato le caratteristiche, un po’ come si fa quando si creano le razze canine. Hanno cioè selezionato una razza che ha una capacità di risposta immunitaria e infiammatoria paragonabile a quella dell’uomo.
Dunque il topo umanizzato non è una sorta di mostruosità scientifica…
Assolutamente no. È meglio dire che è stato selezionato un topo per ottenere una risposta immunitaria simile a quella dell’uomo. Dunque di umanizzato c’è solo l’aspetto specifico della risposta immunitaria, non siamo davanti a sperimentazioni fantascientifiche di cui ogni tanto si legge.
Quale è dunque la particolarità di questa ricerca?
È una ricerca oltremodo interessante perché, al di là di tutto il significato che si vuole dare a questo evento, è che la sperimentazione “in vivo” è essenziale per osservare, in una simulazione più aderente possibile a quanto accadrebbe in un uomo, gli effetti di nuovi farmaci antivirali e di nuovi vaccini. Grazie a questi topi, potranno essere identificate le molecole che producono la miglior risposta immunitaria al virus dell’Hiv e quindi trovare quella che potrà essere utilizzata come vaccino.
Sono moltissimi anni che si parla di un vaccino contro l’Aids, ci sono stati anche degli annunci prematuri… Quali problemi ci sono?
Attualmente sono in corso due o tre tentativi di studio, ma non si sono raggiunti risultati definitivi. Bisogna dire che sono sorte problematiche, anche non tecnico-scientifiche, per l’utilizzo dei vaccini sperimentali nell’uomo. Alcune industrie hanno anche sospeso la produzione per ostacoli assicurativi inerenti queste procedure. Le compagnie assicurative hanno infatti alzato in modo stratosferico i premi: temono infatti, essendo le terapie sia di tipo curative che di tipo preventivo, di dover rispondere a richieste di risarcimento danni per aver contratto la malattia proprio a causa di un vaccino.
Gli animalisti hanno condotto una dura battaglia contro la Green Hill, in particolare a Montechiari contro l’allevamento di cani beagle destinati proprio alla sperimentazione. Ma oggi è ancora scientificamente indispensabile utilizzare gli animali per testare i farmaci?
Quello di Green Hill è un caso di mala gestione, con maltrattamenti e sofferenze provocate in modo ingiustificato. E questo ha fatto buon gioco a chi protegge l’animale in modo esasperato. Oggi infatti sta prevalendo una percezione antropomorfa dell’animale. In passato, invece, era normale per il contadino avere una concezione utilitaristica dell’animale. Nel passato ci sono stati anche casi di sperimentazione promossi a livello istituzionale. Famoso è il caso di Benjamin Franklin a cui il Congresso americano chiese di fare degli studi per il miglior utilizzo della sedia elettrica nelle esecuzioni capitali. Per individuare e far approvare il metodo “migliore”, Franklin organizzò, alla presenza dei membri del Congresso, una sessione sperimentale utilizzando animali. Oggi una serie di attenzioni anche per la cavia da laboratorio sono giuste, ma io credo comunque che, prima di passare all’uomo, sia necessario passare dalla fase preliminare sull’animale.
Quali sono le ragioni?
Alcune prove possono essere fatte anche in vitro o con sistemi alternativi, ma esulano dal contesto tipico della vita, della circolazione sanguigna, della distribuzione dei fluidi biologici che avvengono solo su animale vivo. In alcuni casi, gli studi hanno dimostrato che non c’era correlazione tra l’animale e l’uomo, come è avvenuto per i test dei profumi che venivano effettuati sui conigli, ma appunto per questo è necessario individuare le caratteristiche necessarie, definire i limiti degli studi, evitare sofferenze inutili. In ultimo, le faccio un esempio: si farebbe operare da un chirurgo che non ha mai provato il trapianto di fegato su di un maiale e che lo fa per la prima volta sull’uomo? L’addestramento sui maiali, ad esempio, permette ai chirughi di acquisire la manualità necessaria per operare in condizioni difficili e di indidivuare le metodologie e le tecniche migliori.
Quali animali oggi vengono prevalentemente utilizzati per la sperimentazione?
Innanzitutto i topi, in particolare quelli anziani, di due anni, perché hanno un sistema immunitario simile al nostro. E poi si utilizzano mammiferi come la scimmia, il cane ed anche il maiale.
In conclusione, a differenza che nel passato dove la natura – e quindi anche gli animali – era a servizio dell’uomo, oggi prevale una mentalità che mette uomo e animale sullo stesso piano, si può dire che li equipari, con danni anche per la scienza?
Direi di sì, il punto è proprio questo.
(Paolo Vites)