Ridurre la concentrazione di anidride carbonica (CO2) presente in atmosfera sta diventando un obiettivo obbligato un po’ per tutte le zone del Pianeta: in gioco ci sono le sfide per contrastare i cambiamenti climatici e, comunque, per favorire il miglioramento delle condizioni ambientali dei nostri luoghi di vita e di lavoro.
A rigor di logica, relativamente alla CO2 ci sono due modi per ottenere il risultato: immetterne di meno in atmosfera o catturare quella che già vi si trova e immagazzinarla in sedi remote. La seconda strategia da tempo ha suscitato forti speranze e i tecnologi si sono messi all’opera per ideare soluzioni praticabili ed efficaci. Sono vari i metodi finora esplorati per l’estrazione di CO2 da fonti stazionarie come le centrali a carbone o gli impianti industriali quali acciaierie e cementifici; sono metodi che implicano lo stoccaggio della CO2 sotto terra o il suo reimpiego per altri usi, come l’alimentazione della “fattorie” di alghe per la produzione dei biocombustibili. Tuttavia con tali sistemi non si risolve il problema della rimozione della anidride carbonica dalle fonti in movimento, come automobili, camion e aerei; e da queste fonti provengono quantitativi tra un terzo e la metà delle totali emissioni di CO2.
C’è chi sostiene allora l’importanza di passare a metodi più “diretti”. I promettenti risultati di una ricerca in questa direzione sono stati comunicati recentemente su Science da un gruppo di ricercatori del Columbia University’s Earth Institute guidati da Klaus Lackner, direttore del Lenfest Center for Sustainable Energy presso la stessa università statunitense.
I costi da affrontare per rimuovere direttamente dall’aria la CO2 sono molto elevati ma i nuovi materiale e le tecniche indicate da Lackner e collaboratori potrebbero in breve essere sviluppati in modo abbastanza economico e diffondersi presto con vantaggio per tutti. Sono tecniche indirizzate a sequestrare sorgenti di CO2 che gli altri metodi di CCS (Carbon Capture and Storage) non raggiungerebbero facilmente e prospettano riduzioni sensibili dei livelli di CO2 in atmosfera. La ricerca di Lackner segnala diverse possibilità. Quando la CO2 passa attraverso i sistemi di produzione, può essere assorbita da liquidi o strati superficiali e poi separata; tuttavia nell’aria generica è meno concentrata di quella che esce dagli impianti di produzione o da una centrale: il punto allora è trovare il modo di catturarne il massimo anche in aria aperta ma col minimo dispendio di energia.
Al momento è difficile indicare il costo di una simile operazione ma gli autori sono fiduciosi. Se un’apparecchiatura per l’assorbimento massiccio, come dei modelli di alberi o foreste artificiali, potesse catturare una tonnellata al giorno di CO2, dispiegandone un milione si potrebbe sequestrare più di un decimo delle totali immissioni attuali di anidride carbonica.
Contrapponendosi a un precedente report della American Physical Society – che aveva considerato la cattura diretta di CO2 in aria come un approccio economicamente non adeguato per la mitigazione dei cambiamenti climatici – Lackner sostiene che «è troppo tardi per discutere se sia una soluzione o meno. Ed è sbagliato anche preoccuparsi del fatto che queste nuove tecnologie ci distoglierebbero dallo sforzo di fare qualcosa per ridurre le emissioni. È troppo tardi per queste argomentazioni: dobbiamo intensificare gli sforzi e spingere al massimo le risorse a nostra disposizione per risolvere il problema». Lo stesso Lackner, come direttore della Kilimanjaro Energy, una start-up da lui fondata, sta studiando le possibilità di sviluppo di alcun i tipi particolari di resine in grado di assorbire l’anidride carbonica.
La strada della cattura diretta è quindi tutta da percorrere, ma è in parte già tracciata. Del resto, già da decenni, seppur su piccola scala, l’assorbimento diretto di CO2 dall’aria viene praticato nei sottomarini e nelle navicelle spaziali; come pure nei processi di liquefazione dell’aria è richiesta la rimozione di aria e di anidride carbonica.
(Michele Orioli)