Implicito in qualsiasi riferimento all’ecologia è il convincimento dell’esistenza di una qualche forma di totalità ‘organica’ da cui emerga un qualche tipo di funzionamento integrato che sia compatibile con le caratteristiche degli elementi che lo compongono ma che allo stesso tempo le trascenda. Questo trascendimento deriva dal fatto che le interazioni fra gli elementi generano un nuovo livello di spiegazione non derivabile dalla conoscenza, anche molto approfondita, degli atomismi del sistema. Questo è un modo un po’ pomposo per spiegare ciò che ci suggerisce il senso comune quando ci rende certi che sia impossibile studiare le dinamiche del traffico considerando una sola automobile, le proprietà termodinamiche dei gas a partire dalle proprietà di una singola molecola, o l’organizzazione gerarchica di un’azienda formata da un singolo artigiano.



Assumendo questa prospettiva, diremmo che la medicina segue di sicuro una via di conoscenza ecologica, essendo basata sulla fisiologia che per statuto si occupa delle relazioni dinamiche fra organi e sistemi e sull’anatomia che per statuto si occupa delle relazioni strutturali tra organi e tessuti. Se allarghiamo il campo aldilà del puro naturalismo, troveremo che il medico, avendo come compito la cura della persona e quindi di un sistema altamente complesso costituito da un mirabile e misterioso compenetrarsi di aspetti fisici, psicologici e spirituali, dovrà per necessità avere una percezione “dell’intero”, potremmo continuare pensando che questa concezione dovrà informare l’epidemiologia e in generale tutte quelle applicazioni della medicina che hanno al centro lo studio delle popolazioni e quindi l’interazione di una miriade di fattori sociologici, culturali, politici…



Potremmo insomma considerare l’accostamento di ‘medicina’ all’aggettivo ‘ecologica’ con la stessa placida sicurezza con cui contempliamo la fioritura dei mandorli in Primavera. Se ne parliamo significa che qualcosa di molto brutto si è interposto a mettere in pericolo la fioritura, vale allora la pena di individuare la natura dell’inciampo che agita un ampio e speso disordinato dibattito sulle derive iper-riduzionistiche della medicina e le forse ancora più perniciose prese di posizione “olistico-misticheggianti”.

Per intraprendere questa strada vale la pena fare qualche riflessione sulla natura di ciò che chiamiamo ‘ottimizzazione’, che è poi il concetto cardine su cui si sono fondate scienza e tecnologia negli ultimi secoli. Nella sua forma più scarna, una procedura di ottimizzazione consiste nella ricerca dei valori dei parametri di una o più variabili X (variabili indipendenti in statistica, grandezze controllabili dallo sperimentatore o dal progettista nelle scienze applicate) che rendano ‘massima’ la congruenza con un obiettivo desiderabile (in termini pratici o semplicemente conoscitivi) Y (variabile dipendente in statistica, obiettivo da raggiungere nelle scienze applicate) .



Così se il nostro scopo è quello di costruire una funzione del tipo Y = f(X) che, a partire dalla conoscenza del valore assunto in una certa istanza (un particolare individuo, un certo istante di tempo, una specifica molecola, in termini generali unità statistica) dalla variabile X mi permetta di prevedere la caratteristica Y di interesse relativa alla stessa istanza (unità statistica), il nostro modo di procedere potrà essere immaginato suddiviso nei seguenti passi:

A) raccolta di un insieme di unità statistiche di cui si conoscono i valori X ed Y corrispondenti;

B) scelta di un modello matematico F di relazione funzionale tra la X e la Y;

C) calcolo dei parametri tipici di F che individuino il particolare modello f che ‘meglio spiega’ la disposizione nello spazio delle coppie ordinate X,Y corrispondenti alle diverse unità.

Il grafico qui di seguito permette di comprendere questi concetti solo apparentemente astrusi.

I rombi corrispondono alle unità statistiche, posizionate sul piano secondo le loro coordinate X,Y, la retta è la ‘migliore approssimazione’ della relazione esistente fra le variabili X ed Y. Il modello è considerato il ‘migliore’ in quanto è quello che passa più vicino ai punti, quello per cui le distanze (nel grafico corrispondenti alle linee che uniscono i punti alla retta) sono minori. Il problema è immediatamente risolubile con una semplice applicazione delle regole del calcolo.

Lo stesso scheletro di procedura, con le opportune modifiche, permette di risolvere uno spettro amplissimo di variazioni sul tema (molte variabili X, molte variabili Y, variabili X e/o Y discrete, modelli non lineari ….). Da un punto di vista filosofico riconosceremo in questa procedura una chiara esemplificazione della Adaequatio intellectus et rei di Tommaso con l’intellectus corrispondente alla retta interpolatrice e la res (genitivo rei) costituita dai punti sperimentali. Fin qui tutto bene, i guai escono fuori (come sempre accade), quando si assolutizza questa saggia e semplice procedura facendola diventare ciò che non è (e non può essere).

Torniamo allora alla medicina e immaginiamo che Y sia uno stato patologico (diagnosi per brevità) e che le X siano dei possibili sintomi variamente rilevanti per la predizione di Y.  

Il grande ecologo Simon Levine scriveva  : “Non esiste una singola scala corretta di investigazione … Dobbiamo riconoscere esplicitamente l’esistenza di molteplici scale … e sviluppare una prospettiva che attraversi le differenti scale e che si fondi su una molteplicità di modelli invece di cercare l’unico corretto” (Levine S., “Ecology in theory and application”, in Applied Mathematical Ecology New York Springer 1989).  

Ecco il punto: ferme restando le ‘ricette’ statistiche per la costruzione di un modello ragionevole, noi non possiamo pensare che un sistema che si definisce a diverse scale possa essere costretto nei vincoli di una sola forma funzionale e di una sola ‘scala rilevante’ che renda conto di tutto. L’innamoramento per il genoma umano come unico livello rilevante per la predizione della suscettibilità alle malattie (e analogamente il livello delle mappe di risonanza magnetica nucleare come unico livello rilevante per la psicologia scientifica o la singola cellula come spiegazione per il cancro) porta a delle conseguenze molto dannose.

La necessità di ‘prendere in considerazione diversi aspetti’ apparentemente viene salvaguardata (si prendono in considerazione tutti i geni per trovare quelli che permettono di prevedere il fenomeno di interesse) ma si perde il senso profondo dell’interezza e cioè la molteplicità di scale e la loro interazione reciproca. E’ insomma una ‘interezza riduzionista’ piuttosto che un ‘interezza ecologica’. Il livello unico a cui vien ‘ridotto’ ogni tentativo di spiegazione è quello dei geni, ognuno dei quali è una variabile X indipendente ‘contribuisce autonomamente’ alla previsione della variabile dipendente Y (malattia).

In questi ultimi anni è emersa la fallacia di molte apparentemente solide conoscenze fondate su questo tipo di approccio: le relazioni erano solo apparenti, frutti di ‘sovra-determinazione’ (la probabilità di avere dei risultati significativi per puro effetto del caso cresce all’aumentare dei gradi di libertà fino ad annegare nella tautologia pura ogni tipo di studio che preveda migliaia di variabili X), che non hanno retto alla prova della generalizzazione. Da un punto di vista culturale l’ubriacatura genomica della interezza come lista ha purtroppo prodotto guai molto gravi che sono andati molto aldilà del semplice fallimento di un progetto scientifico; si è sedimentata una mentalità generale che vede nell’impresa tecnologica guidata dalla pura ricopertura totale di un certo campo l’unica possibile soluzione ‘scientificamente avanzata’ ad un certo problema.

Da cosa deriva questa ostinazione nel perseguire quella che, non solo ripensando a quanto scritto da Levine ma anche semplicemente a quanto sedimentato in migliaia di anni di esercizio delle medicina e continuamente confermato nella pratica medica di tutti i giorni in tutti i paesi, sembra una pretesa totalmente irragionevole ?

Alla base di tutto è una pericolosa deriva anti-umanistica che tende a rendere automatica qualsiasi tipo di sapienza umana fino a prevedere una scomparsa sul lungo termine del medico (e più in generale di qualsiasi scienziato) quale depositario di un sapere autonomo non formalizzabile e riducibile a operazione automatica e quindi a relegare ai margini il rapporto umano medico-paziente.

E’ allora importante cercare di delineare un paradigma ecologico che non si limiti a ricordare il ruolo integrale della conoscenza medica ma che sappia mettere in un giusto contesto le acquisizioni della moderna tecnoscienza.

Intanto chiariamo subito il fatto che le tecnologie –omiche non sono di per sé né inutili né dannose, anzi, è proprio da lì che dobbiamo partire per una rifondazione sistemica delle scienze biomediche, dobbiamo però utilizzarle a pieno, non solo quindi come liste ma come i dati necessari per individuare le relazioni fra gli elementi che le compongono. Nella letteratura scientifica esistono già degli ottimi esempi di questo tipo di approccio che ci hanno permesso di intuire (anche se ancora ad un livello largamente fenomenologico) i principi della dinamica della regolazione biologica.

Si comincia a delineare un posizionamento della vita all’interno del mondo fisico in cui i vincoli posti dall’ancora giovane ma promettente meccanica statistica delle reti, se pur ancora in maniera largamente fenomenologia (ma non di meno passibile di analisi quantitativa) sembrano finalmente rendere ‘fisicamente plausibile la vita’ permettendo di superare lo sconcerto che molti di noi hanno provato nei loro anni universitari quando il professore di chimica generale dimostrava l’estrema rarità di urti coinvolgenti più di due specie molecolari in soluzione e il professore di biochimica descriveva reazioni ordinate (ciclo di Krebs, biosintesi dei lipidi..) coinvolgenti dozzine di urti seriali che avvenivano in ordinata sequenza.

Domini di coerenza dell’acqua, effetto tunnel, soglia di percolazione sono termini che si stanno affacciando nella biologia e che hanno un sapore fortemente ‘ecologico’ per il loro implicare effetti di campo legati al microambiente in cui si svolgono i fenomeni.

Questo approccio, che possiamo riassumere con lo slogan ‘le relazioni fra le parti sono più importanti della conoscenza approfondita dei singoli atomismi’ dovrà essere allargato a tutte quelle conoscenze di sfondo che distinguono un bravo medico da un puro applicatore di linee guida. La molteplicità dei piani e delle scale di cui parla Levine si traduce allora nell’impalpabileesprit de finesse che Pascal definisce come l’abilità di taluni di trattare con tutte quelle infinite suggestioni che “… si vedono a mala pena, si sentono piuttosto che non si vedano; ed è molto difficile farle sentire a chi non le sente da sé; sono cose talmente tenui e tanto numerose, che occorre una sensibilità molto delicata e precisa per sentirle e per giudicare giustamente e proprio secondo tale sensibilità, senza poterle, per la maggior parte dei casi, dimostrare con ordine, come in matematica, perché non se ne possiedono allo stesso modo i principi; e volerlo fare sarebbe un’impresa senza fine. Bisogna cogliere la cosa tutta d’un colpo, in un solo sguardo, e non per un progredire del ragionamento, almeno fino a un certo punto”.