Per il mondo della fisica, mercoledì 4 luglio è una data storica. Al Cern di Ginevra, l’annuncio: il bosone di Higgs, la particella che dà massa a tutte le altre, esiste. La commozione dell’84enne Peter Higgs, il fisico inglese che ne ipotizzò l’esistenza nel 1964, è palpabile. Ma sui media, il suo nome quasi scompare: i titoli sono univoci, vertono tutti sulla “particella di Dio”. Soprannome che deriva dal titolo, imposto da un editor, del libro scritto sul tema dal premio Nobel Leon Lederman, per il quale, però quella non era “the god particle”, ma “the goddamn particle”, la particella “dannata”. Questione di marketing, che però ha fatto emergere prepotentemente e immediatamente le ripercussioni sulla concezione della vita che una scoperta scientifica di tale importanza produce. Perché, come considera Giuseppe Tanzella-Nitti, astronomo, professore ordinario di Teologia fondamentale e direttore del Centro di documentazione interdisciplinare di Scienza e Fede della Pontifica università della Santa Croce, con cui ilSussidiario.net ha voluto riflettere sull’evento, «ogni passo in avanti nella nostra conoscenza certa della natura è sempre un passo in avanti verso la verità delle cose e, in ultima analisi, verso la Verità con la maiuscola».



Con la scoperta di questa particella tutto sembra andare a posto nei nostri modelli della materia che compone tutto l’universo: è una conferma che l’universo è dominato da ordine, simmetria e armonia? E se sì, cosa significa?

Il modello standard che organizza le proprietà delle particelle elementari è altamente simmetrico ed elegante, ma non è l’unico esempio. Basti pensare alla Tavola Periodica di Mendeleev, o alle stesse equazioni di Maxwell che descrivono l’elettromagnetismo. La buona scienza sembra avere un rapporto privilegiato con l’ordine e la simmetria: non è un rapporto che leggiamo solo nel nostro intelletto, deve avere anche un sufficiente riscontro oggettivo nelle cose. La notizia che il Bosone di Higgs sembra sia stato finalmente rivelato, ci conferma in fondo nella stessa idea. Adesso sappiamo che le 24 particelle fondamentali e le quattro forze di natura possono stare insieme, in un unico grande quadro teorico. Qualcuno potrebbe chiedersi da dove vengano questa razionalità e questa eleganza e, più arditamente, se esse abbiano qualche legame con l’idea che l’Universo fisico sia il riflesso di una intelligenza creatrice… Posta così, la domanda esula da quanto possa dirci il metodo scientifico, che di per sé si basa sulle quantità misurabili e non si interroga sulle cause davvero ultime della realtà. È tuttavia significativo che lo scienziato, come uomo, resti sorpreso di ciò e se ne chieda una spiegazione. La domanda diviene allora filosofica o forse perfino teologica: non possiamo rispondervi chiedendo nuove misure al Large Hadron Collider, ma è interessante che, in quanto domanda, essa venga oggi suscitata anche, ormai, dalla ricerca scientifica, e nasca nei nostri laboratori.



Qual è la reazione di un teologo quando avviene una scoperta così importante per la nostra concezione dell’universo?

Posso parlarle della mia reazione, non certo rappresentativa di tutti coloro che, come me, sono studiosi di teologia. Capire meglio come funziona la natura è una conoscenza che arricchisce ogni altra disciplina, teologia compresa. Già nel XIII secolo Tommaso d’Aquino, nella Summa contra Gentiles, rimproverava coloro che ritenevano ininfluente avere conoscenze approfondite della natura, purché si avesse una corretta conoscenza di Dio. A costoro l’Angelico chiariva che se non abbiamo idee giuste sulle cose create, non possiamo neanche avere un’idea corretta di Dio. È una lezione, credo, che non ha perso d’attualità.



Dopo una scoperta così, l’universo diventa forse meno misterioso?

Direi di no. Il mistero continua, gli orizzonti si allargano. Le domande che la scienza ci pone sono sempre più profonde e non vengono esaurite da una nuova misura. L’orizzonte della nostra conoscenza, anche di quella scientifica, è aperto all’essere, alla totalità. E questo semplicemente perché la conoscenza è una dimensione del nostro spirito, illimitato perché trascende la materia. Il mondo materiale potrà un giorno finire, ma la conoscenza che abbiamo di esso, nella misura incui partecipa della conoscenza di Dio, non termina mai.

È noto che i fisici, a proposito del bosone di Higgs, non amino la dizione “particella di Dio”. Perché? Perché secondo lei quando si arriva a parlare dei costituenti ultimi (sia pure in via provvisoria) della materia, si chiama in causa il nome di Dio?

Non è la prima volta che la domanda su Dio o la parola Dio emerge quando la scienza, come in questo caso, si confronta con le ricerche più fondamentali, quelle che si interrogano sull’origine di tutte le cose o sull’origine della razionalità che pare legare fra loro i vari componenti della natura. Espediente editoriale o mediatico? Certamente sì, in buona parte, come fra l’altro già sappiamo. In realtà il motivo è più profondo. Non si può non giungere ai mattoni fondamentali della materia (fisica delle particelle) o alla grande questione dell’origine del cosmo (cosmologia) senza percepire che ci si sta confrontando con qualcosa di grande, senza chiedersi se questo mondo abbia un creatore o se almeno incarni un progetto, una razionalità. Personalmente vedo con molto interesse i progressi della ricerca scientifica e il fatto che vi emerga anche solo un interrogativo su Dio. Siamo in controtendenza rispetto ad un clima relativista. Lo scienziato cerca la verità e qualche volta si chiede, appunto, se valga la pena di indicarla, forse anche solo per dibattervi, con la Maiuscola.

 

Conoscere come sono fatte le cose cosa ci può dire di chi le ha create? Quest’ultima scoperta, secondo lei, può confermare o smentire la fede di un credente? Perché?

 

Credo di averle già risposto indirettamente attraverso le riflessioni precedenti. La natura ci parla certamente di Dio, sebbene lo faccia attraverso una conoscenza che deve fare ricorso anche all’inferenza filosofica, capace di ascendere dal finito all’infinito, dagli effetti alla Causa prima. Nessuna scoperta scientifica, se è davvero tale, conferma o nega l’esistenza di Dio. Tuttavia, in modo indiretto, getta luce sul creato, senza per questo istruirci sul motivo profondo, sul perché ultimo della creazione. Dio ha creato l’universo perché ha amato ciascuno di noi, volendoci chiamare all’esistenza. Questo è il motivo davvero ultimo, il più profondo. La scienza ci fa vedere quanto ricco, articolato e misterioso è il cammino che dall’origine del cosmo porta fino all’uomo e ne rende possibile la vita sul nostro pianeta. La scienza può ricostruire l’origine nel tempo e il tragitto di un cammino. La fede in un Dio creatore ci dice perché questa strada è stata aperta e dove era diretta.

 

 

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