I giovani spesso sono esuberanti e pieni di energie. Le performance di molti ragazzi ben allenati possono essere migliori di quelle di molti più maturi. Ma quanto migliori? In questi giorni, proprio durante le olimpiadi di Londra, stiamo assistendo a una serie di insinuazioni e sospetti fastidiosi per chi ne è oggetto, ma incontestabilmente non peregrini.



I fatti parlano chiaro. Abbiamo ammirato un giovane prodigio, una sedicenne Cinese, Ye Shiwen, già campione del mondo nei 200 metri misti, vincere l’oro nei 400 metri misti nuotando l’ultima vasca più velocemente di due uomini: gli statunitensi Ryan Lochte (di 0,17’’) e Michael Phelps (di 0,8’’), il più grande nuotatore vivente -forse anche di tutti i tempi-. Il capo dell’associazione degli allenatori di nuoto Usa è chiaro: “mi ricordava le atlete della ex-DDR. Quando nel nostro sport avviene qualcosa di ‘incredibile’, storicamente c’è sempre dietro il doping”. Qualcuno parla però di un doping diverso, di qualcosa di assolutamente più radicale di quello cui siamo abituati e di impossibile identificazione…



Facciamo però un passo indietro e stacchiamoci dalla polemica internazionale. La settimana scorsa abbiamo provato ad affrontare il problema del doping in termini assolutamente generali, cercando di fissare soprattutto alcune domande relative all’intreccio sempre più stretto fra scienza e moderna pratica sportiva. In particolare abbiamo tentato di mettere in luce come, in termini di controllo, la fiducia incondizionata nella scienza, prima che “ideologicamente” discutibile, si possa rivelare totalmente ingenua. I metodi per eludere i controlli anti-doping sono infatti molti e, cosa più importante, difficilmente lasciano traccia nell’organismo. Si va dalla sospensione dell’assunzione di certe sostanze in momenti utili al nascondimento delle tracce (per esempio questo accade per gli steroidi), all’assunzione di sostanze che servono alla cancellazione delle tracce nei tempi giusti.



La scienza “malata” del doping, però, è sempre alla caccia non solo di modalità per occultare le prove dei suoi interventi, ma anche di nuovi metodi che aumentino le prestazioni degli atleti. In questo senso è un mondo curiosissimo di ogni novità in campo biomedico, con una capacità di immaginazione notevole rispetto allo scopo perseguito e assolutamente disinvolto nel riutilizzare tecniche e farmaci ideati per tutt’altre finalità. 

Nella scienza ufficiale infatti ci sono ambiti che cercano di intervenire sul corpo umano: per modificarlo, sì, ma a fin di bene. Per esempio, la cura della distrofia muscolare ha prodotto particolari interventi basati su un farmaco genico che blocca la miostatina, stimolando la ricostruzione di parti del tessuto muscolare. “Se può ricostruirlo, può anche aumentarlo”, potrebbero pensare alcuni sedicenti medici-stregoni prestati allo sport. E infatti, test su animali in vivo testimoniano che l’utilizzo di questo farmaco permette un aumento della massa muscolare di più del 15%. Come non guardare a un’opportunità del genere?

Ma ancora non basta: negli anni ’60 un fondista finlandese – Eero Mantyranta- risultava praticamente imbattibile e vinse due ori alle olimpiadi invernali di Innsbruck. Il motivo venne scoperto anni dopo. Una mutazione nei suoi geni gli consentiva di ossigenare il sangue in modo più efficiente dal 25% al 50% rispetto agli altri: di fatto, era “dopato” rispetto agli altri, ma in modo assolutamente “naturale”. Si può dire che aveva quello che i suoi avversari volevano: l’EPO. Impossibile essere al suo stesso livello per tutti gli altri.

Ecco dunque la nuova frontiera: non un intervento per migliorare la prestazione, ma un intervento per modificare la struttura dell’atleta in quanto tale. Ed ecco quindi l’accusa degli Usa nei confronti del team cinese di nuoto: la ragazzina ha realizzato una performance di tale livello che il sospetto parrebbe legittimo. Ma la WADA – l’agenzia mondiale per l’antidoping – dice che i controlli sulla squadra cinese sono ok. Potrebbe dunque essere un caso di doping genetico, sostengono gli americani. La polemica non cesserà di certo e probabilmente proseguirà non solo durante questa olimpiade, ma anche nei prossimi anni. Il punto è molto semplice: sembra che si possa in qualche modo, in tempi non ancora definiti, operare qualche tipo di trasformazione a livello genetico anche sull’uomo, che ne determini un cambiamento radicale e non rilevabile. In qualche modo, quindi, un laboratorio biomedico potrebbe sostituirsi all’opera della natura, che ha già selezionato e fatto crescere capacità differenti a seconda delle razze: per esempio, i nuotatori sono di razza bianca (caucasici), mentre i corridori sono di razza nera (come affrontato in un altro articolo).

A cosa potrebbe portare una diffusione di tali pratiche? Pare incredibile, ma potremmo pensare in un futuro non molto lontano che le cosiddette “condizioni” iniziali di uguaglianza, essenziali nelle gare sportive, tali non potranno più essere.

Come nel film Gattaca, sta forse arrivando il tempo di presentare il proprio genoma, oltre alla carta di identità?