C’è un nome che lega i due eventi astronomici più stimolanti di questi giorni: è quello di Giovanni Virginio Schiaparelli, ingegnere poi trasformatosi in astronomo, con una carriera fulminante che l’ha portato a diventare direttore dell’Osservatorio astronomico di Brera (Milano) a soli 27 anni. Schiaparelli è infatti legato sia a Marte, dove è appena iniziata l’avventura del rover Curiosity, sia al fenomeno delle cosiddette “stelle cadenti” che la prossima settimana attireranno verso l’alto i nostri sguardi vacanzieri.



Su Marte le osservazioni del 1877-78 del direttore di Brera, col nuovo telescopio rifrattore equatoriale Merz appena entrato in funzione presso l’Osservatorio, hanno aperto una nuova fase di studi planetologici, consentendo di individuare e descrivere in dettaglio molti particolari della superficie del Pianeta rosso fino ad allora sconosciuti. La mappa disegnata da Schiaparelli mostra una varietà di configurazioni e, nel primo saggio di topografia marziana da lui presentato all’Accademia dei Lincei, vengono identificate e classificate diverse location: dalle zone più scure chiamate “mari” a quelle più chiare denominate per analogia geografica “continenti”, ma soprattutto quello strano reticolo di linee scure battezzate provvisoriamente come “canali”.



Il termine ha prestato il fianco allo scatenarsi di una polemica sulla natura di tali configurazioni e sulla possibilità che non fossero naturali bensì opera di non si sa quale abitante intelligente del pianeta. La polemica è stata infuocata nei decenni successivi; poi si è trasferita nei racconti di fantascienza, mentre gli strumenti astronomici si facevano più potenti ed evitavano che si attribuissero interpretazioni terrestri ad immagini poco chiare. Finché sono arrivate le sonde a fotografare da vicino i deserti marziani e a non lasciare più dubbi, concentrando l’attenzione non tanto sulla topografia quanto sulla astrobiologia, come sta facendo Curiosity. C’è da sperare che gli scienziati che analizzeranno e diffonderanno i dati raccolti dal laboratorio robotico della Nasa non incappino in errori di traduzione come è accaduto per l’articolo di Schiaparelli.



Ad alimentare la polemica era stata infatti la traduzione dell’italiano “canale” con l’inglese “canal”, che sta ad indicare i canali artificiali (come ad esempio quello di Suez). Nella stessa lingua però si può avere anche il termine “channel”, che indica i canali naturali (come quello della Manica). Leggendo “canal”, i lettori anglosassoni immaginavano che si parlasse di canali artificiali ed erano portati implicitamente a ipotizzare la possibile esistenza di esseri intelligenti in grado di progettarli e costruirli. Lasciando che Curiosity svolga con precisione il suo lavoro, soffermiamoci ora sulle “lacrime di san Lorenzo”, che potranno coinvolgerci tutti, se vorremo cercarle, anche perché quest’anno è particolarmente favorevole per gli avvistamenti, data a quasi assenza di Luna nei giorni dove è previsto la massima pioggia di meteore.

 

La prima spiegazione moderna del fenomeno si deve proprio a Schiaparelli che lo ritenne perfettamente descrivibile con gli strumenti della meccanica celeste: le stelle cadenti sono frammenti di comete che, giunte in prossimità del Sole si disgregano e lasciano polveri e detriti lungo tutta la propria orbita; quando la Terra, nel suo percorso intorno al Sole, arriva ad incrociare l’orbita della cometa si imbatte negli sciami meteorici che si accendono interagendo ad alta velocità con l’atmosfera.

 

In particolare Schiaparelli aveva dimostrato che le stelle cadenti osservate attorno al 10 agosto (le Perseidi) derivavano dalla dissoluzione della cometa 1862 III (detta Swift-Tuttle, dal nome degli scopritori) e che quelle che si osservano il 27 novembre (le Leonidi) derivavano dalla dissoluzione della cometa 1866 I (detta Tempel-Tuttle). Quanto alla denominazione Perseidi, dipende dal fatto che lo sciame meteorico sembra provenire da un punto situato nella costellazione di Perseo, che è nella direzione Nord-Est, vicino alla luminosissima stella Capella e ha una forma vagamente a ipsilon rovesciata. Per cercare allora di catturare qualche Perseide, bisognerà puntare lo sguardo verso Nord-Est e cercare Perseo; non servono cannocchiali o strumenti particolari.

 

Nelle prossime notti questa costellazione sorgerà intorno alle 22.30 e raggiungerà una buona altezza sull’orizzonte dopo la mezzanotte: questo sarà il momento di miglior osservabilità, con un maggior numero di meteore visibili; secondo alcune stime, si potrebbero vedere una cinquantina di meteore all’ora. Tenendo conto che le Perseidi sono meteore molti veloci, che si tuffano nell’atmosfera a oltre 200.000 km/h, il loro impatto può dare origine a scie luminose e persistenti, che possono resistere anche qualche secondo.