Oggi protagonista al Meeting di Rimini è il bosone di Higgs; o meglio sono due dei protagonisti di questa impresa che ormai è entrata nella sfera di interesse un po’ di tutti perché ci proietta verso le vertigini dell’infinitamente piccolo, cioè delle particelle elementari e delle forze che stanno alla base di tutta la realtà naturale, e anche dell’infinitamente lontano nel tempo, cioè a ridosso dei primi passi dell’universo quando tutte le particelle hanno, grazie al bosone di Higgs, acquistato la massa. I due scienziati in primo piano oggi sono due italiani che lavorano al Cern di Ginevra: Lucio Rossi, che ha già incontrato la platea del Meeting lo scorso anno, e Sergio Bertolucci, direttore della Ricerca (Director of Research and Computing). Bertolucci ha raccontato così a Ilsussidiario.net questo anno straordinario che si aggiunge per lui a uno altrettanto entusiasmante (1994), quando si è trovato a far parte del team che è arrivato alla scoperta dell’ultimo quark, il quark top.
È stato un anno importante per la fisica, coronato dalla scoperta del bosone di Higgs: una scoperta in qualche modo “annunciata” ma resta sempre il fascino della realtà che rivela i suoi segreti. Come ha vissuto personalmente i mesi che hanno preceduto l’annuncio ufficiale? Era convinto che si sarebbe arrivati presto o temeva di non poter avere una conferma così chiara?
Personalmente è stato un anno straordinario. Questo tipo di scoperte non avvengono in modo “digitale”, o zero o uno: abbiamo iniziato verso la fine dello scorso anno ad avere qualche indizio, erano indizi promettenti per entrambi gli esperimenti (ATLA e CMS). Dal punto di vista delle aspettative, sapevamo che se la macchina avesse funzionato come doveva entro il 2012 avremmo risolto il problema, cioè: o l’avremmo trovato o avremmo potuto escludere con certezza statistica elevata la sua esistenza all’interno del cosiddetto Modello Standard delle particelle. Pensi che soltanto un paio d’anni fa l’intervallo di massa-energia nel quale si pensava di poterlo trovare si estendeva da 114 GeV (Gigaelettronvolt) a circa 600 GeV: la natura invece ha voluto che la risposta fosse più precisa e all’inizio del 2012 abbiamo potuto restringerla attorno ai 125 GeV. C’è stata allora una fase di analisi molto scrupolose, fatte “in cieco” per evitare che uno diventi troppo ottimista o voglia troppo bene ai suoi dati e tradisca la realtà. Quando poi a giugno l’evidenza è diventata manifesta, sia per i gruppi impegnati negli esperimenti che per la direzione del Cern, è stato un momento molto bello ed esaltante. Consideri che la ricerca del bosone di Higgs, va avanti da una cinquantina d’anni: una sorta di ricerca del Graal della fisica, che non è apparso improvvisamente ma ha richiesto uno sforzo progressivo e prolungato di migliaia di scienziati in tutto il mondo; anche la realizzazione dell’acceleratore LHC ha richiesto il concorso di molti, fine dalle fasi iniziali quando si doveva convincere la comunità scientifica e i decisori dell’importanza di una “macchina” del genere.
In un’impresa che coinvolge così tante persone, non si rischia di ridurre il gusto e il senso della scoperta, dato che il contributo di ciascuno è una piccolissima parte del risultato?
Penso che un’impressione simile sia legata a un’idea di scienza non più attuale. Ormai, non soltanto nella fisica delle particelle, la scienza procede attraverso grandi collaborazioni, con esperienza che sono simile a quella della costruzione delle cattedrali, per imponenza delle infrastrutture e per numero di persone implicate. è evidente che un singolo non può tenere sotto controllo tutti gli aspetti; però c’è un aspetto interessante nel nostro lavoro: c’è un mix di competizione e collaborazione e ognuno di noi, soprattutto i più giovani, ha la possibilità di portare un contributo originale che acquista ancor più rilievo se la scoperta è, come il bosone di Higgs, uno dei traguardi sperimentali più importanti degli ultimi 50 anni.
C’è differenza tra il partecipare alla ricerca stando a Ginevra e il dare il contribuire dalle varie università e centri sparsi in tutto il mondo?
Bisogna considerare che il Cern ha circa 3000 dipendenti ma ospita una comunità di oltre 11.000 fisici che lì si sentono a casa: in particolare, per gli italiani e tutti gli europei, il Cern è il “loro” laboratorio. E poi oggi molto si può fare grazie alla tecnologia: una delle chiavi del successo in questo caso è stata la “grid” cioè la rete informatica e computazionale distribuita: in questo momento in tutto il mondo ci sono 300mila computer che stanno analizzando i dati prodotti dagli esperimenti in LHC. Ciò sostiene e dà un senso di partecipazione a tutti e contribuisce a dar vita a una comunità molto estesa ma anche molto coesa. Si potrebbe dire che la fisica delle particella ha realizzato uno dei pochi esempi veri di globalizzazione.
I risultati sembrano aprire la strada a nuovi scenari che vanno oltre il modello standard, riportando alla ribalta le teorie supersimmetriche: può spiegare brevemente di cosa si tratta?
La massa che abbiamo trovato per l’Higgs lo colloca in una posizione di confine, tra una fisica più nota e una “nuova fisica”: questo valore di massa sfavorisce il Modello Standard, che avrebbe preferito un Higgs un po’ più pesante e favorisce il modello della Supersimmetria. Abbiamo già iniziato a lavorare per vedere se esistono particelle supersimmetriche; ma una delle strade per verificarlo sarà lo studio dettagliato proprio di quello che abbiamo appena scoperto. La progressiva pubblicazione delle analisi, ci permette di studiare tutti i canali di decadimento del bosone di Higgs: laddove si trovano dati diversi da quelli previsti dal Modello Standard, sappiamo di essere in presenza di “nuova fisica”; e a seconda di quanto diversi sono possiamo farci un’idea abbastanza precisa di dove debba risiedere questa novità. Possiamo dire quindi che la scoperta di quest’anno è sì un punto di arrivo ma ancor più è un punto di partenza.
Come procederà allora nei prossimi anni l’attività di LHC?
Alla fine del 2012 LHC si fermerà per quasi due anni per manutenzioni e per riparare la famosa connessione difettosa dei magneti che aveva costretto, subito dopo l’avvio nel 2008, a rinviare la piena operatività dell’acceleratore. Dopo di che si potrà portare la macchina alle massime energie per le quali è stata progettata e cioè ai 14 TeV (Teraelettronvolt); al momento stiamo lavorando a 8 TeV. Poi abbiamo davanti un programma di 20 anni: dapprima, fino al 2018, proseguiremo ad operare a 14 TeV; poi ci sarà un miglioramento alla catena di iniezione e ad altri componenti secondari, che permetterà di aumentare non tanto l’energia ma la cosiddetta “luminosità”. Lucio Rossi è a capo del progetto High Luminosity LHC, col quale si potranno avere più collisioni e quindi esplorare più masse e diversi fenomeni; è un progetto che richiede anche un notevole sforzo di ricerca e sviluppo, per avere magneti superconduttori più potenti per focalizzare meglio i fasci.
E per il futuro più lontano?
Stiamo pensando anche a quello, per arrivare a energie più elevate. Ciò si può ottenere o utilizzando questo stesso tunnel o forse costruendone un altro, più lungo. Queste scelte, nel nostro campo, sono principalmente dettate dagli obiettivi della ricerca fisica: dipenderà moltissimo dal tipo di fisica che emergerà nei prossimi anni. Ma dipenderà anche da fattori di tipo più culturale: siamo molto vincolati, infatti da come la gente capirà l’importanza della ricerca fondamentale