Non se la poteva perdere la discesa di Curiosity su Marte. E così, lunedì mattina 6 agosto era incollato alla diretta web dal centro di controllo del Jet Propulsion Laboratory della Nasa a vivere, con migliaia di altri tecnici e scienziati, i “sette minuti di terrore” che concludevano il lungo viaggio del rover, iniziato il 26 novembre 2011, dalla Terra al pianeta rosso. «Emozionante», ricorda a poche ore di distanza. Per tutti, certo, ma per lui un’emozione ancora più forte perché preludio di quella che si scatenerà nel 2030 quando, invece che su Marte, le sofisticate strumentazioni per individuare un barlume di vita su altri pianeti si poseranno sul “suo” Europa, uno dei satelliti di Giove. “Anche se magari non ci sarò, ma non importa”. Classe 1942, Julian Chela-Flores – venezuelano di nascita, inglese per formazione, italiano d’adozione – è uno dei maggiori scienziati che si occupano di una delle più recenti branche della scienza, indirizzata alla ricerca di forme di vita nell’universo: l’astrobiologia, appunto. Lavora a Trieste, al Centro internazionale di fisica teorica Abdus Salam.



Professore, tutti hanno gli occhi puntati su Marte, ma i suoi sono puntati su Europa…

È più facile trovare la vita nel deserto del Sahara o nella rigogliosa giungla brasiliana? Penso che concordi con me nell’indicare il secondo luogo. Ecco: Marte è come il deserto, mentre Europa è come la giungla. Se cerchiamo la vita, o meglio tracce di vita, è sicuramente più facile trovarle su Europa che su Marte. Non è che qui non ci possano essere, ma è senz’altro più difficile rinvenirle. E poi Europa ha una caratteristica unica, che la rende molto simile alla Terra. Vede, noi sappiamo che questo satellite e i suoi “fratelli” Ganimede, il più grande satellite del sistema solare, e Callisto, probabilmente il più vecchio, hanno sotto il ghiaccio grandi oceani. L’oceano più fantastico è però proprio quello di Europa, che è in contatto con un nocciolo di salicato.



Un contatto particolare, un po’ come avviene negli abissi oceanici terrestri. Cosa comporta questo fatto? Che conseguenze provoca?

Orbene, noi sappiamo che lo sviluppo della vita sulla Terra si è avuto proprio nella profondità di questa interfaccia tra roccia e oceano, dove attorno alle fumarole i batteri si nutrono delle sostanze chimiche provenienti dal sottosuolo, e la superficie di Europa è coperta di macchie di zolfo che potrebbero essere frutto del metabolismo di batteri. Un indizio che ci fa supporre che ci siano, o ci siano state, forme di vita su questo satellite.

Mi parla di indizi, ma quando potrete verificarli?



Il progetto c’è già, ed è stato adottato dall’Esa, l’ente spaziale europeo: si chiama Juice–Jupiter Icy moons Explorer. Il lancio avverrà nel 2022 e l’arrivo sui tre satelliti ghiacciati di Giove è previsto nel 2030. Io sto lavorando per questo, e anche se magari allora non ci sarò, l’importante è dare un contributo. Io sto preparando, anzi ho già pubblicato la mia proposta per l’individuazione degli strumenti e dei metodi migliori per misurare le tracce di vita microbiologica, quelli che chiamiamo bioindicatori. Esiste una scienza apposita per questo, è la biogeochimica. 

Gli obiettivi sono chiari, il progetto è avviato, gli strumenti li state progettando… ma rimane la domanda fondamentale: perché cercate la vita sugli altri pianeti? Non c’è ancora tanto da scoprire sulla Terra?

Guardi, io penso che il tutto si articoli su tre capitoli: scienza, filosofia, teologia. Per quanto riguarda il primo, l’aspetto scientifico, penso che sia chiaro il perché: gli scienziati vogliono andare sempre più a fondo della conoscenza dei fenomeni che costituiscono la vita, sulla Terra e nell’intero universo. Per quanto riguarda il secondo, è stato sempre un bisogno dell’uomo speculare sulla “vita altrove”, da Platone in poi, fino ad arrivare a Giordano Bruno, che teorizzò la vita su altri pianeti. Gli scienziati non credenti si fermano qui. 

Ma lei è credente, ci tiene a sottolinearlo. Quindi lei non si ferma qui…

Infatti, nella mia cultura c’è anche l’aspetto teologico. Noi crediamo che Dio ci abbia fatto a sua immagine e somiglianza, quindi è importante scoprire se altrove ci sia un’evoluzione della vita non necessariamente simile alla nostra. È un punto fondamentale per chiarire chi siamo noi, e il nostro rapporto con Dio. Da qui nasce un dialogo costruttivo fra scienza e fede che aiuta anche ad interpretare le sacre scritture. Per me infatti è importante vedere la frontiera fra i tre capitoli e approfondire il loro rapporto.

 

(Daniela Romanello)