Cosa sta succedendo ai ghiacciai della Terra? Stiamo assistendo a una fase di crisi della criosfera (cioè l’insieme di neve, ghiaccio e permafrost presenti sul nostro Pianeta) quanto mai acuta e nella calda estate appena trascorsa chiunque si sia recato sulle nostre Alpi non ha potuto fare a meno di notare le evidenze dell’intensa fusione in atto, con le conseguenti profonde modificazioni paesaggistiche e ambientali: la riduzione, a volte praticamente la scomparsa delle pareti glaciali (le classiche “nord” affrontate dagli alpinisti), oggi tormentate dalla presenza di roccia affiorante e da detriti che ne impediscono l’ascensione anche da parte di guide ed esperti; la riduzione delle lingue glaciali con crolli di interi settori per effetto dell’assottigliamento del ghiaccio e dell’azione della acque di fusione; il ricoprimento parziale o totale di interi settori delle fronti glaciali da parte di detrito roccioso che ne modifica gli scambi di energia e massa; la formazione di laghi supraglaciali che spesso vanno monitorati per pericolo di esondazioni disastrose.
Il regresso glaciale si accompagna poi a profonde modificazioni ambientali ed ecologiche come la ricolonizzazione delle aree deglaciate, ovvero i terreni lasciati liberi dai ghiacciai al loro regresso, e la risalita della vegetazione arborea che va ad occupare zone prima solo interessate da vegetazione erbacea e prateria alpina. Queste modificazioni implicano anche aumentate emissioni di gas serra (principalmente CO2) da parte di questi terreni e quindi un ulteriore contributo all’aumento della temperatura.
Tutto questo non avviene solo sulle Alpi, dove è presente solo una piccola porzione del ghiaccio glaciale del Pianeta (l’intera estensione dei ghiacciai alpini europei è stimata inferiore ai 2.900 km2 e i soli ghiacciai italiani coprono meno di 480 km2 di area). Anche le riserve glaciali più estese del globo stanno vivendo una fase di intensa crisi e i dati dell’estate 2012 sono davvero poco confortanti. La Groenlandia, la seconda estensione glaciale del Pianeta dopo l’Antartide con oltre 1,5 milioni di km2 di ghiaccio continentale, sta attraversando una fase di intensa deglaciazione che ha visto picchi notevoli in luglio e agosto 2012.



I satelliti della Nasa hanno evidenziato che tra l’8 e il 12 luglio scorso oltre il 90% della Groenlandia manifestava evidenze di fusione glaciale. Una fusione così estesa mette a repentaglio la possibilità per le nevi perenni di superare l’estate e di conservarsi trasformandosi lentamente (ci vogliono anni o decenni) in ghiaccio di ghiacciaio. In simili condizioni l’accumulo invernale è messo in discussione e il bilancio annuo può risultare seriamente compromesso.
Oltre a questo bisogna considerare che una fusione così estesa di neve e ghiaccio provoca un più intenso deflusso di acqua che giunge sino al mare contribuendo a innalzarne il livello medio. Si tenga presente che circa 1/6 dell’innalzamento medio del mare registrato globalmente è attribuito dai ricercatori al contributo dato dalla fusione dei ghiacciai groenlandesi. La fusione accelerata di questa estate quindi può aver ulteriormente incrementato questo non trascurabile contributo.
Si consideri inoltre che in annate “normali” la superficie della Groenlandia sottoposta a fusione è circa la metà e che spesso nei settori più elevati l’acqua di fusione va incontro a ricongelamento e non costituisce quindi una vera perdita per i ghiacciai. Questa estate, invece, per più giorni il 97% della superficie era in fusione e buona parte dell’acqua ha avuto la possibilità di raggiungere il mare.
A questo evento è poi seguito il distacco di un iceberg di dimensioni eccezionali. Il ghiacciaio che lo ha rilasciato in mare è il Petermann. Il fenomeno del distacco di iceberg non è di per sé riconducibile a una fase di deglaciazione: tutti i ghiacciai che terminano con le loro fronti in mare o nei laghi, infatti, sono soggetti a questo processo, noto con il nome di calving. A rendere il distacco eccezionale sono le dimensioni del blocco di ghiaccio staccatosi, pari al doppio dell’estensione superficiale di Manhattan! I tassi di fusione di quest’anno sembrano i più intensi degli ultimi trent’anni per la Groenlandia e le dimensioni dei blocchi di ghiaccio distaccatisi sono molto al di sopra della media stagionale, quindi tutto concorre ad indicare una fase di profonda crisi della criosfera artica.



All’intesa riduzione del ghiaccio continentale (cioè il ghiaccio di ghiacciaio che si forma sui continenti a seguito della compattazione e metamorfosi della neve) va poi ad aggiungersi in modo sinergico nell’Artico la riduzione sempre più intesa del ghiaccio marino (la banchisa, ovvero il ghiaccio conseguente al congelamento dell’acqua di mare). Questo ha un andamento stagionale con minimi estivi e massimi invernali ed è di fondamentale importanza per la fauna artica. Negli ultimi anni si è assistito ad un trend di continua diminuzione dell’estensione estiva del ghiaccio marino, che ha raggiunto il minimo storico questa estate. Tale riduzione dei ghiacci marini è sicuramente connessa all’aumento della temperatura media dei mari che ne rende più difficile la formazione e la persistenza nel tempo.
Gli effetti negativi di una ridotta copertura glaciale marina non si limitano però alla sola fauna ma si estendono al clima globale e ai ghiacci continentali. Le superfici ghiacciate dei mari, infatti, concorrono a riflettere una parte della radiazione solare in entrata che viene così riflessa nello spazio e non contribuisce a riscaldare la superficie del Pianeta e poi l’atmosfera. Se i ghiacci marini si riducono, come sta avvenendo negli ultimi anni, sempre più energia solare viene assorbita dai mari e dalle terre emerse rendendo più positivo il bilancio radiativo e quindi il riscaldamento atmosferico e concorrendo in ultima analisi anche alla riduzione dei ghiacci continentali per fusione.
A ciò si aggiunga che quest’anno per la prima volta le emissioni di CO2 in Groenlandia sono state stimate pari a 400 parti per milione. Questo valore è molto elevato e non era mai stato raggiunto prima. È sicuramente connesso alla deglaciazione in atto e alle profonde modificazioni ambientali che ne conseguono.
È evidente che il sistema è complesso, con molti meccanismi di mutua relazione e di retroazione, e che quanto è accaduto questa estate, a seguito delle temperature molto elevate in tutto l’emisfero Nord, avrà ripercussioni ambientali che potranno venire realmente quantificate solo nei prossimi mesi. Per ora è certo solo che l’intensità dei fenomeni avvenuti è sintomatica di una crisi profonda della criosfera, non solo artica.