Le scogliere coralline sono uno degli ecosistemi più complessi e diversificati del mondo. Sono distribuite in modo discontinuo in una fascia intertropicale con le massime concentrazioni nella zona caraibica, nel cosiddetto triangolo dei coralli – una ampia zona comprendente l’arcipelago indonesiano, le Filippine e la Nuova Guinea – e nella Grande Barriera Australiana. L’influenza di questi ecosistemi sulle popolazioni umane viventi in aree costiere è enorme: le scogliere coralline sono zone di pesca altamente produttive, in molte aree geografiche gli edifici di corallo producono nel tempo zone abitabili sia formando isole o atolli che proteggendo le stesse dall’erosione determinata dalle onde. Nelle isole del Pacifico i blocchi di corallo rappresentano l’unico materiale tradizionale da costruzione. Più recentemente il turismo subacqueo è diventato un’importante fonte di reddito per numerose comunità rivierasche.
Lo straordinario successo delle scogliere coralline è legato a uno dei più diffusi ed efficienti rapporti simbiotici dell’ambiente marino: i tessuti dei polipi dei coralli ospitano ricche popolazioni di alghe unicellulari, chiamate zooxantelle, che gli conferiscono il caratteristico colore bruno verdastro. Questi minuscoli organismi autotrofi effettuano la fotosintesi direttamente nei tessuti dell’ospite utilizzando i nitrati prodotti dai polipi e trasferendo agli stessi circa il 90% degli zuccheri prodotti.
La distribuzione mondiale degli edifici corallini è condizionata da numerose caratteristiche ambientali ma principalmente dalla temperatura delle acque, che non deve mai scendere al di sotto dei 20 °C. D’altra parte negli ultimi decenni ci siamo drammaticamente accorti che anche le temperature troppo alte possono avere effetti devastanti su questo ecosistema. Le temperature elevate aumentano l’intensità della fotosintesi, ma questo fatto ha la conseguenza di sviluppare un numero così elevato di radicali liberi dell’ossigeno tali da non poter essere tamponati dagli appositi sistemi enzimatici delle cellule dei polipi. In questa situazione i coralli sono costretti ad espellere le microalghe che diventano tossiche per le proprie membrane cellulari. Questo fenomeno, conosciuto come bleaching, si evidenzia come un impressionante cambiamento di colore dei coralli che virano repentinamente al bianco (to bleach = candeggiare) mentre, il mancato apporto di sostanza organica dovuta alla fotosintesi conduce i polipi a una graduale regressione. A partire dagli anni ’80 dello scorso secolo impressionanti fenomeni di bleaching hanno interessato le maggiori scogliere coralline con effetti drammatici in tutto il mondo.
Come è noto il riscaldamento delle acque marine è comunemente attribuito ad un aumento della CO2atmosferica come conseguenza delle attività umane. L’incremento di questo gas porta con sé anche un altro fenomeno altamente sgradito ai coralli: l’acidificazione degli oceani. Ad un aumento dei livelli di CO2 consegue un abbassamento del pH dell’acqua, che determina una maggiore difficoltà da parte dei coralli di fissare il carbonato di calcio che costituisce il loro scheletro.
Schiacciati tra le difficoltà trofiche dovute al bleaching e quelle strutturali, determinate dall’acidificazione, quale sarà il destino delle barriere coralline? Molti studiosi si sono cimentati nella produzione di modelli in grado di prevedere nel medio termine il futuro di uno dei più importanti ecosistemi terrestri. Le aspettative in merito sembrano essere particolarmente pessimistiche stando ad uno studio molto approfondito pubblicato durante lo scorso mese di agosto Nature Climate change (Frieler et al.). Sembra infatti, stando al modello proposto, che nei prossimi decenni da uno a due terzi delle scogliere coralline potrà soffrire di estesi fenomeni di degrado nonostante i programmi di mitigazione delle emissioni di CO2.
Ovviamente i modelli possono tener conto solo dei dati disponibili e hanno notevoli difficoltà a incorporare correttivi dovuti alla capacità di adattamento degli esseri viventi. Già molte volte gli organismi marini ci hanno sorpreso in questo senso. Ad esempio abbiamo scoperto di recente che le zooxantelle non sono, come si credeva un tempo, tutte uguali ma appartengono a molti ceppi diversi con una sensibilità molto differente al riscaldamento delle acque. In ogni modo, mentre è possibile sperare nelle risorse della natura, è necessario rafforzare gli sforzi per limitare le emissioni di CO2. La salvezza delle barriere coralline è una sfida planetaria per la conservazione di uno degli ecosistemi più diversificati del pianeta ma contestualmente per salvaguardare la vita di centinaia milioni di persone che ne sfruttano le risorse.