Periodicamente diverse regioni italiane sono colpite dalla piaga degli incendi boschivi. Un incendio boschivo, così come è definito nell’art. 2 della legge n. 353 del 2000, “è un fuoco con suscettività a espandersi su aree boscate, cespugliate o arborate, comprese eventuali strutture e infrastrutture antropizzate poste all’interno delle predette aree, oppure su terreni coltivati o incolti e pascoli limitrofi a dette aree”. In pratica, si tratta di fuoco che si propaga provocando danni alla vegetazione e agli insediamenti umani. In quest’ultimo caso, quando il fuoco si trova vicino a case, edifici o luoghi frequentati da persone, si parla di incendi di interfaccia. Più propriamente, per interfaccia urbano-rurale si definiscono quelle zone, aree o fasce, nelle quali l’interconnessione tra strutture antropiche e aree naturali è molto stretta: sono quei luoghi geografici dove il sistema urbano e naturale si incontrano e interagiscono.
Tutte le regioni italiane sono interessate dagli incendi, anche se con gravità differente e in periodi diversi dell’anno. Le condizioni ambientali e climatiche della penisola italiana favoriscono lo sviluppo di focolai principalmente in due stagioni dell’anno. Nelle regioni settentrionali dell’arco alpino – ma anche nelle zone appenniniche in alta quota – gli incendi boschivi si sviluppano prevalentemente nella stagione invernale-primaverile, la più siccitosa, quando la vegetazione è stata seccata dal gelo. Mentre in estate i frequenti temporali riducono il rischio di incendio. Al contrario, nelle regioni peninsulari centro-meridionali, dove il clima è mediterraneo, il fuoco si sviluppa prevalentemente nella stagione estiva, calda e siccitosa. Alcune regioni italiane, come la Liguria, per la particolare situazione geografica, topografica e della vegetazione sono interessate dal fenomeno in entrambe le stagioni.
C’è una regione però dove, grazie a uno speciale sistema di monitoraggio integrato, è stato possibile dimezzare le aree boschive bruciate dagli incendi estivi: è la Basilicata e il sistema si chiama Fire-Sat. Il modello è stato messo a punto da due ricercatori dell’Istituto di metodologie per l’analisi ambientale del Consiglio nazionale delle ricerche di Potenza (Imaa-Cnr), Rosa Lasaponara e Antonio Lanorte, e dal 2008 il modello è utilizzato dalla Protezione civile regionale.
«Si pensa che gli incendi vengano spenti dai Canadair – ha detto Lasaponara a ilsussidiario.net – ma non è proprio vero: cioè, se l’incendio è molto piccolo si può controllare e domare ma se è tale da richiedere l’intervento aereo significa che ha già raggiunto proporzioni significative. Il problema allora è di riuscire a valutare la potenziale evoluzione di un incendio e di mettere a punto un sistema che consente di dare un’allerta in relazione al pericolo».
È quello che fa il sistema Fire-Sat, un metodo oggetto di brevetto che è in grado di individuare le zone più a rischio valutando parametri come la temperatura, l’umidità o la secchezza della vegetazione, ma anche la morfologia del terreno e il regime dei venti previsto. «Si tratta di un prototipo previsionale, un software basato sull’acquisizione dei dati satellitari resi disponibili gratuitamente dalla Nasa, che funziona come supporto alle risorse antincendio. Questo sistema di sorveglianza aerea abbatte i costi, limita drasticamente la necessità di lunghe e costose analisi in situ e, soprattutto, permette un pronto intervento, quando l’incendio è ancora circoscritto».
Gli scienziati del Cnr quindi forniscono le mappe ottenute con uno speciale software alla protezione civile della Regione Basilicata che organizza il sistema di allerta in funzione di tali mappe, cioè predispongono adeguatamente l’invio dei volontari, i voli e i vari sistemi di avvistamento nelle zone indicate dalle mappe come quelle a maggiore vulnerabilità. «Con questo sistema infatti riusciamo a fare una stima della potenziale virulenza e pericolosità dell’incendio per consentire al personale addetto di stabilire delle priorità di intervento e di intervenire in modo rapido laddove l’incendio può avere una azione più distruttiva».
Il modello fornisce quotidianamente alla Regione mappe di previsione del pericolo d’incendio, da cui derivano specifiche ‘classi’ di allerta dei vari comuni: dalla 4, che equivale al pre-allerta, alla 6, pericolo estremo. «Le mappe degli ultimi mesi – prosegue la ricercatrice – confermano che in alcune aree lucane il livello di pericolo è rimasto costantemente alto dalla metà di giugno in poi, in particolare la fascia bradanica, la media e bassa val Basento, il melfese e la costa e montagna di Maratea. Secondo i dati forniti dalla Regione, il monitoraggio tempestivo e dettagliato ha consentito di dimezzare le aree bruciate rispetto al 2007».
Il sistema si presta anche alla valutazione dei danni post-evento, come precisa il collega Lanorte: «Il satellite consente di ottenere mappe delle aree bruciate, di discriminare il livello di danno registrato dalla vegetazione e di stimare l’impatto sul rischio idrogeologico, che potrebbe notevolmente accentuarsi a causa delle piogge successive agli incendi, che aumentano il rischio frane. Inoltre, utilizzando le serie storiche di dati satellitari è possibile ottenere informazioni sulla capacità di ripristino della vegetazione e quindi sui cambiamenti e i danni a medio e lungo periodo indotti all’ecosistema».
E per quanto riguarda le cause che determinano l’avvio di un incendio? «Bisogna dire che la previsione circa l’innesco dell’incendio è qualcosa che nessuna può fare. Va considerato che gli incendi sono legati principalmente, se non esclusivamente, all’azione antropica e sono sempre di natura colposa o dolosa. Certo, ci sono situazioni di maggior predisposizione, dovuta a un mix di fattori ambientali, ed è lì che agiscono preferenzialmente coloro che intendono provocare i fenomeni incendiari. Quello che si può fare è quindi fornire delle priorità di intervento, sia su scala nazionale che regionale: ci sono giorni in cui ci sono decine e decine di chiamate e quindi diventa importante la previsione della pericolosità dell’incendio, per poter gestire al meglio gli interventi».
Oltre alla Basilicata i ricercatori dell’Imaa-Cnr già da anni hanno attive delle collaborazioni con altre regioni, dove il sistema aiuta a ricalibrare i piani di monitoraggio e intervento in considerazione anche di differenti situazioni della vegetazione e del territorio. E sono stati avviati programmi di test e applicazioni del Fire-Sat anche in altri Paesi come Argentina e Cina.
Lasaponara comunque ribadisce che «però è sempre l’uomo il responsabile dell’innesco»; e per evitare questo non c’è software che tenga.