I modelli più o meno complessi e arzigogolati della scienza moderna altro non sono che rappresentazioni nate per render conto di quello che viene osservato nel mondo naturale. La crescita della loro accuratezza e del loro grado di complessità sottostà al desiderio che sempre ha spinto l’uomo ad approfondire la comprensione dei fenomeni. Proprio per questo, tutte le volte che trova mezzi e metodi adeguati per considerare e pesare scientificamente i fattori in gioco, l’uomo rende questa lotta per la conoscenza sempre più serrata. La cosa strabiliante è che anche di fronte a un livello di complessità crescente, i ricercatori non arretrano di fronte alla sfida, rifugiandosi in qualche scorciatoia che semplifichi e quindi riduca la profondità della natura osservata, ma si lasciano dominare dall’interesse per scoprire come la fitta interconnessione di molte cause possa creare certi fenomeni o condizioni.
Uno degli esempi più importanti in questo gioco dell’approfondimento dello sguardo che l’uomo rivolge alla natura è la nostra comprensione del ruolo del Sole nella determinazione del clima terrestre. È semplice e immediato rendersi conto che il Sole è proprio il motore di tutto: dà energia al movimento delle masse d’aria e riscalda la superficie terrestre, irraggiando nel suo cosmico abbraccio il nostro piccolo e straordinario pianeta. Ma l’attività solare è anche più variegata: il Sole infatti emette un vento di particelle che arrivano a profondità diverse all’interno dell’atmosfera terrestre, genera un campo magnetico che si estende ben al di là dell’orbita di Plutone, e la sua superficie è sede di fenomeni misteriosamente legati al clima terrestre come le macchie solari. Inoltre sulla superficie del Sole si verificano grandi eventi violenti e molto energetici, le grandi protuberanze o brillamenti, che hanno ripercussioni sui pianeti interni: una conseguenza di questi fenomeni sono le tempeste magnetiche che si generano sulla Terra.
Data la complicata natura di quel particolare “oggetto” che chiamiamo clima, la discussione fra i suoi studiosi è sempre aperta: al suo interno, la diatriba sul vero ruolo del Sole presta anche il fianco alle prese di posizione più o meno “schierate” nel dibattito sulle cause del riscaldamento globale. Alcuni infatti pensano che il riscaldamento in atto negli ultimi 120 anni sia più dovuto al comportamento del Sole che a quello dell’uomo, che ha modificato in parte la composizione dell’atmosfera tramite l’immissione di grandi quantità di CO2 (anche se piccole se raffrontate alle naturali emissioni da vulcani, oceani e biosfera). Altri invece sostengono il contrario.
La difficoltà a trovare una risposta univoca è intrinseca alla complessità dell’oggetto di studio. Nessun ricercatore di un determinato campo di studio può infatti pensare di possedere una visione esaustiva, mentre è un fatto che ci vogliano esperti in vari campi per costruire un’immagine soddisfacentemente completa: fisica del plasma, attività solare, chimica atmosferica, fluidodinamica, fisica cosmica e storia naturale del pianeta Terra.
Nelle scorse settimane si è tenuto un particolare workshop al National Center for Atmospheric Research (NCAR) a Boulder, in Colorado, che ha cercato di affrontare in modo ampio e sistematico il tema “Sole e clima terrestre”, nel quale diversi esperti si sono confrontati su tutti i vari aspetti scientifici. Alcuni ricercatori hanno parlato delle variazioni numero delle macchie solari, altri delle variazioni del campo magnetico, altri delle variazioni di emissione energetica ecc. Il tema è tanto più interessante se si pensa che le variazioni di energia emessa dal Sole sono in realtà abbastanza modeste: al massimo dello 0,1%. Il Sole infatti ha la particolare caratteristica di essere una stella regolare e “discreta”: è una stella di media-piccola grandezza e non emette quantità di energia paragonabili a quelle di molte altre stelle (come le giganti rosse o azzurre) e, cosa più interessante, la sua emissione complessiva di energia è estremamente regolare e uniforme nel tempo.
Se l’energia radiante varia di poco, lo stesso non si può però dire delle macchie solari, zone a temperatura più bassa della fotosfera, legate all’attività del campo magnetico solare. Esiste infatti un ciclo di 11 anni, che viene rilevato ormai da più di tre secoli, legato al numero delle macchie solari presenti sulla fotosfera ogni anno, che mostra oscillazioni da poche decine a quasi 200 macchie. Il grafico dell’andamento del numero delle macchie dimostra che 350 anni fa le macchie hanno avuto un minimo: questa circostanza, protrattasi per tutta la seconda metà del XVII secolo, ha coinciso con un generale abbassamento delle temperature rilevate in Europa, tanto che si parla di “piccola età del ghiaccio”. I meccanismi non sono chiari, ma la correlazione con la temperatura terrestre è netta. A Boulder si è evidenziato come i dati suggeriscano che stiamo percorrendo la parte “in discesa” del ciclo e -dato interessante- che forse ci stiamo avvicinando al limitare di un nuovo minimo.
Si sono ovviamente sviscerati anche altri aspetti, come per esempio l’effetto che ha l’aumento dell’attività solare: se appare infatti immediato pensare che a maggiore energia debba corrispondere una temperatura media globale terrestre più alta, l’effetto reale misurato è in realtà un aumento locale -sull’area Pacifica- della piovosità, che porta a un raffreddamento medio di 1° della superficie del mare e quindi a un rafforzamento del fenomeno del Nino. Oppure ancora uno studio ha rilevato come l’aumento complessivo della radiazione non implichi che aumenti l’energia emessa dal Sole in tutte le lunghezze d’onda che compongono il suo spettro. Quando l’aumento è maggiore negli Ultravioletti ad alta energia (EUV), a causa di una serie di effetti concatenati, aumenta la temperatura media terrestre, ma soprattutto cambia la dinamica delle masse d’aria, con l’effetto che i percorsi delle tempeste sulla superficie terrestre vengono modificati. Questo è un aspetto che si sta iniziando a studiare: gli effetti locali sul clima delle variazioni Solari.
Altri aspetti sono stati oggetto di discussione, ma, oltre ai vari fattori analizzati, va sottolineato come i relatori abbiano concordato su alcune misure da prendere per proseguire il lavoro in modo più proficuo: innanzitutto la realizzazione di una immagine radiometrica del Sole, che consentirebbe di analizzare l’attività magnetica solare anche in assenza delle macchie, in secondo luogo la costituzione di un modello condiviso per la condivisione dei dati relativi al rapporto fra Sole e clima, e infine il suggerimento di missioni per uno studio dei segni dell’attività solare sulle superfici della Luna e di Marte, dove l’assenza di un’atmosfera di tipo terrestre potrebbe dare dati più precisi di quelli che possiamo trovare sulla Terra.
Il simposio non ha perciò preteso di “chiudere” nessuna questione, ma ha proposto un metodo interdisciplinare per affrontare la costruzione di una immagine realistica del rapporto, per niente lineare, fra attività solare e clima terrestre. Il cammino sembra insomma farsi più esigente e variegato e il quadro sembra acquistare nuovi e tasselli difficili da decifrare, ma, proprio per questo, il lavoro si fa più appassionante.