Fin da quando è nato – cioè 13.7 miliardi di anni fa – l’Universo è in continuo raffreddamento a causa dell’espansione a cui è soggetto. Secondo la teoria del Big Bang, alla sua nascita l’Universo aveva una temperatura di milioni di miliardi di gradi. Già 380 mila anni dopo – quantificati in astrofisica con un redshift z=1100 – l’Universo raggiunse una temperatura di 3000 Kelvin (circa 2700 °C). A questa temperatura la luce si disaccoppiò dalla materia, l’Universo divenne trasparente e la luce emessa allora è quella che tuttora permea l’intero cosmo come radiazione fossile.
La temperatura nell’Universo attuale (redshift z=0) si può accuratamente misurare osservando questa radiazione cosmica di fondo, e corrisponde oggi a 2.725 Kelvin (circa -270 °C). Ma in che modo l’Universo si è raffreddato? Se l’espansione è adiabatica – come previsto dalla teoria del Big Bang – la temperatura è diminuita linearmente al diminuire del redshift (ovvero al diminuire dell’età cosmologica).
Un gruppo di ricercatori svedesi, francesi, tedeschi e australiani ha voluto verificare questa relazione della temperatura con il redshift, misurando la temperatura della radiazione cosmica di fondo quando l’Universo aveva la metà degli anni che ha ora (lo studio è stato pubblicato sull’ultimo numero di Astronomy & Astrophysics). Ma com’è possibile osservare l’Universo nel passato? Dato che la luce ha una velocità finita, la radiazione che ci arriva da oggetti molto distanti da noi ha viaggiato diverso tempo prima di raggiungere i nostri strumenti. Quindi se osserviamo una galassia che si trova a 7.2 miliardi di anni luce da noi, la osserviamo come era effettivamente 7.2 miliardi di anni fa (z=0.89).
I nostri ricercatori hanno studiato una galassia a redshift z=0.89 con una particolarità: si trova di fronte a un quasar, una galassia caratterizzata da una emissione radio molto potente. Il quasar, chiamato PKS 1830-211, è ancora più distante (z=2.5) e la radiazione da lui emessa viene deviata dal campo gravitazionale dovuto alla massa della galassia che gli sta di fronte, con un meccanismo detto “lente gravitazionale”. Lungo la linea di vista tra noi e l’immagine del quasar prodotta dalla lente sono presenti delle nubi molecolari, situate nei bracci a spirale della galassia a z=0.89.
Una nube molecolare è costituita da un addensamento di polveri e di gas, in prevalenza molecole di idrogeno, nel mezzo interstellare. In una nube poco densa e fredda come quelle che stiamo considerando, le molecole interagiscono principalmente con i fotoni della radiazione cosmica di fondo. Data la bassa temperatura della radiazione, queste interazioni portano le molecole a transizioni tra stati energetici – detti rotazionali – che differiscono poco l’uno dall’altro. Il rapporto tra il numero di molecole nei diversi stati rotazionali dipende dalla temperatura della radiazione cosmica di fondo. Misurando questo rapporto si può quindi determinare la temperatura a z=0.89.
Le emissioni dalle nubi molecolari della galassia osservata sono però troppo deboli per essere studiate direttamente. Ma proprio la potente radiazione emessa dal quasar può essere usata per studiare la temperatura della radiazione fossile a z=0.89. Se non ci fossero le nubi molecolari lo spettro dell’intensità della radiazione del quasar, misurata in funzione della lunghezza d’onda, sarebbe una linea continua. Ma attraversando la nube tale radiazione viene in parte assorbita, causando delle transizioni tra i livelli energetici elettronici delle molecole, con salti di energia ben maggiori di quelli tra i diversi stati rotazionali.
Nello spettro del quasar questo si traduce nella presenza di linee quasi verticali – dette d’assorbimento – posizionate a lunghezza d’onda precise, che dipendono dalle specie molecolari presenti nella nube e dai loro livelli elettronici. Come queste linee di assorbimento dipendono dalla radiazione cosmica di fondo? Considerando le transizioni di una specifica specie molecolare, il rapporto tra l’intensità delle linee di assorbimento delle diverse transizioni elettroniche dipende dal numero relativo di molecole della nube nei diversi stati rotazionali, e quindi dalla temperatura della radiazione fossile.
La difficoltà di una misura di questo tipo è che bisogna conoscere numerosi parametri fisici legati alle condizioni della nube molecolare e del quasar. In questo lavoro per la prima volta il team di ricercatori ha studiato contemporaneamente più transizioni di diverse specie molecolari. Ciò ha permesso di ridurre l’incertezza legata ai parametri fisici e di ottenere una misura molto più precisa rispetto ad analoghe misure precedenti. La temperatura della radiazione cosmica di fondo a z=0.89 così misurata è 5.08 ± 0.10 Kelvin (circa -267 °C). Il valore è perfettamente in accordo con la temperatura dell’Universo a quell’epoca prevista dalla teoria del Big Bang, pari a 5.14 Kelvin.