Ottobre, tempo di Nobel. La prossima settimana vedrà la proclamazione, da parte del Comitato Nobel di Stoccolma, dei primi premi Nobel 2013, quelli scientifici: si partirà lunedì, col Nobel denominato “per la Medicina e Fisiologia”, che in pratica è il Nobel per le Bioscienze; poi martedì con la fisica e mercoledì con la chimica. L’attesa, come al solito, è grande e anche le previsioni non mancano. Oltre alla stampa di settore e ai blog dei ricercatori, ci sono agenzie specializzate che ormai da qualche anno lanciano i loro forecast, stimando i personaggi che hanno le maggiori probabilità di aggiudicarsi gli ambiti riconoscimenti (e relative somme che sfiorano il milione di euro, eventualmente ripartito se i vincitori sono più di uno per disciplina).
Per le loro valutazioni queste agenzie cercano di utilizzare gli stessi criteri del Comitato Nobel, cioè analizzano le pubblicazioni dei vari scienziati e i risultati più rilevanti dell’attività di ricerca; oltre a considerare le opinioni che circolano nella comunità scientifica, mescolando il tutto con un po’ di considerazioni culturali (a volte discutibili) e geopolitiche (ancor più discutibili).
Due agenzie in particolare si distinguono per la tempestività nella formulazioni di previsioni circa i Nobel scientifici: sono la americana Thomson Reuters ScienceWatch e la giapponese Miraikan. La prima propone per ogni disciplina tre gruppi di nominativi, la seconda, tramite anche un sondaggio pubblico più allargato, seleziona tre possibili vincitori per disciplina, indicando anche una percentuale di preferenze. Diciamo subito che le previsioni non concordano quasi su nessun nominativo, tranne che su quelli di Peter Higgs per la fisica e di Howard Cedar per la biologia.
Per Miraikan Higgs è favorito al 63%, contro l’americano Paul Grannis e l’inglese John B. Pendry; mentre per Reuters, Higgs dividerebbe il premio col belga Francois Englert, già a sua volta vincitore del Premio Wolf nel 2004.
Il dibattito circa l’attribuzione del Nobel per la scoperta del bosone di Higgs si protrae ormai da tempo. Il fatto è che il cosiddetto “meccanismo di Higgs” è stato formulato nel lontano 1964 da diversi fisici indipendentemente: da Higgs all’università di Edinburgo, da Englert e Robert Brout in Belgio, da Gerald Guralnik, Carl Hagen e Tom Kibble all’Imperial College di Londra; secondo gli ambienti, come dice lo scrittore Jim Baggott, “più attenti alla democrazia della scoperta” si dovrebbe parlare del “meccanismo di Brout-Englert-Higgs-Hagen_Guralnik_Kibble (BEHHGK)”. Però, solo l’articolo pubblicato da Higgs faceva espressamente riferimento alla possibile esistenza di un nuovo bosone; che così ha avuto il suo cognome.
Adesso, del gruppo BEHHGR sono rimasti solo Higgs e Englert, che quindi potrebbero andare insieme a Stoccolma (anche se al Cern il 4 luglio del 2012, al seminario dove è stata annunciata la scoperta della particella, Englert non si è visto.
C’è poi la questione della possibile compartecipazione dello stesso Cern nella titolarità del premio Nobel. Ma la cosa è ulteriormente complicata: premiare il direttore farebbe passare in secondo piano i veri protagonisti della scoperta, che peraltro sono moltissimi; tra l’altro anche i responsabili dei due esperimenti che hanno catturato il bosone, ATLAS e CMS, non sono più spokeperson (come dicono all’LHC) delle rispettive collaborazioni. Quindi staremo a vedere.
Intanto potremmo capire chi sono gli altri papabili. Grannis opera presso l’acceleratore rivale di LHC, il Tevatron del Fermilab di Chicago, dove nel 1995 ha guidato il gruppo che ha scoperto il sesto quark, il quark top. Pendry invece rappresenta una categoria di scienziati che si sta ampliando, quelli tran disciplinari: era infatti partito come microbiologo per poi diventare un fisico teorico dello stato solido e dedicarsi alla progettazione di metamateriali.
Più ampia la rosa proposta da Reuters, che vede come premiabili anche gli astrofisici Geoffrey Marcy, Michel Mayor e Didier Queloz per le ricerche sui pianeti extrasolari; oppure il solo nipponico Hideo Hosono per la scoperta dei superconduttori a base di ferro.
E non c’è solo la fisica. Per la chimica, Miraikan fa una scelta di parte, proponendo tre asiatici: il giapponese Isamu Akasaki, inventore del principio dei LED a luce blu; Koji Nakanishi, di Hong Kong, che alla Columbia University studia i composti bioattivi; l’altro giapponese Masatake Haruta, che ha scoperto la funzione catalizzatrice delle nanoparticelle d’oro.
Infine nelle scienze della vita c’è la comune candidatura di Cedar, della Hebrew University, che però per la Reuters dovrebbe condividere il premio col collega Aharon Razin e con lo scozzese Adrian Bird, per le scoperte fondamentali relative alla metilazione del DNA che hanno aperto la strada al nuovo settore in crescita della epigenetica.
La stessa agenzia americana vedrebbe bene un Nobel anche al californiano Dennis Slamon, per le ricerche sui tumori al seno legati allo sviluppo del gene HER2/neu; come pure al trio nippo-americano Daniel Klionsky, Noboru Mizushima e Yoshinori Oshumi per la scoperta dei meccanismi molecolari e la funzione fisiologica della autofagia.
Mentre Miraikan fa ancora una scelta “nazionale” promuovendo Masashi Yanagisawa dell’università di Tsukuba, scopritore della orexina, un neuropeptide che controlla il sonno e il risveglio.
L’agenzia giapponese si riscatta però lasciando aperto uno spiraglio per la candidatura di Francis Collins, il noto genetista che ha guidato con successo il Progetto Genoma Umano e ora dirige Il National Institute of Health (NIH) statunitense. Ma a noi piacerebbe che fosse noto anche per il suo libro, uscito in Italia nel 2007, “Il linguaggio di Dio. Alla ricerca dell’armonia fra scienza e fede”, dove l’autore testimonia l’esito totalmente positivo di tale ricerca e la compatibilità dell’evoluzione biologica con la fede in un Dio creatore.